Come rimodellare il linguaggio dei classici veicolandolo in forme espressive delle tendenze contemporanee mediate dalla visione registica di una donna, anche musicista e soprano, che imprime il suo stigma su una drammaturgia immaginata da Shakespeare per eroi maschili.
Ribaltando specularmente la riflessione poetica sulle dinamiche tra potere e onore, follia e vendetta, lealtà e dubbio, Sarah Biacchi enuclea sentimenti e psicologie estrapolandole dai ruoli di genere per proiettarle in una prospettiva atemporale e cosmica.
Ecco allora sovvertito l’assunto che il potere sia prerogativa maschile e ribaltati i canoni del teatro antico che metteva in scena attori che indossavano maschere femminili, assegnando ad attrici tutte le parti della più famosa tragedia del Bardo, figure archetipiche della dualità maschile-femminile che contrappone virilità fisica e mentale a muliebre fragilità emotiva.
In questo processo che rovescia gli stilemi dell’impianto classico in auge fino al 1670, bastano il corpo e la voce a veicolare sentimenti e angosce, titubanze e speranze, senza nemmeno l’ausilio di maschere e camuffamenti, in cui la rappresentazione è vivificata dall’interpretazione corale in cui tutte sono protagoniste, vestali di un rito in neri abiti maschili e bianche camicie, tranne le note di colore di Gertrude e Ofelia (costumi di Susanna Proietti).
Sarah Biacchi definisce la sua scelta “animica” cioè il viaggio di un’anima (Amleto) che affronta la lotta della vita senza sapere se è uomo o donna, ma solamente spirito: “Amleto come lo conosciamo, è la storia di un’anima. Io ho cercato quest’anima, per qualche anno. E l’ho trovata fra i gesti di un’attrice di cui non posso fare altro che raccontare la caleidoscopica gamma espressiva, Francesca Ciocchetti. Accanto a lei ho immaginato una madre di altrettanta sensibilità, Galatea Ranzi … nel corso di questo viaggio, ho incontrato poi un’artista che sembrava non solo un essere mitologico, ma un incrocio perfetto fra padronanza ed esplosione, Ludovica Modugno … una fragile anima anch’essa frantumabile, ma in pezzi più piccoli, Federica Sandrini … l’anima di Polonio si nasconde nel tono scanzonato, divertito e apparentemente rassicurante della pluripremiata Debora Zuin. A questo punto mi sono resa conto che anche le altre parti mi parlavano da anime femminili, da interpreti che da anni si sono distinte sulle nostre scene. Elena Aimone, Caterina Gramaglia, Federica Sandrini, Serena Mattace Raso, Tullia Daniele, Diletta Acquaviva hanno accettato di imbarcarsi in un’impresa enorme e rivoluzionaria: creare un gruppo di prime attrici, che collaborando raccontassero la storia di Amleto”.
Tale ricerca è scaturita dall’aver visto per anni le attrici sacrificate in piccoli e insignificanti ruoli contrapposti a quelli maschili dominanti, mentre tante hanno corde per interpretare anche ruoli non destinati a loro: “Voglio partire da Amleto perché per me è Alfa e Omega. Amleto rappresenta una certa qualità di anime che sono chiamate (“vocate”, appunto) a un compito esistenziale che condizionerà molte altre esistenze ad esse collegate”.
E infatti, nessuno più della donna può attraversare la complessità della natura umana, universale e immortale, e quella di Amleto simbolo delle moderne ossessioni patologiche.
Il Teatro Eliseo, come gesto d’amore verso il teatro, le attrici e l’uguaglianza di genere ha prodotto questo spettacolo nell’ambito del Prologo di Stagione, che va in scena nel foyer della balconata, spazio inusuale e angusto in cui gli spettatori circondano la rappresentazione, divenendone testimoni.
Scritta intorno al 1600, questa tragedia si impone con l’impeto e la fragilità che possono esprimere il corpo e il cuore di una donna, perché, come sosteneva Calvino “un classico è un testo che non ha finito di dire quello che ha da dire”.