I tormenti di un’anima resi con espressività fisiognomica e trasporto accorato da una versatile e mimetica Melania Giglio che trasfonde nel canto liberatorio il dolore nascosto di Mimì, invisibile a tutti fino alla fine.
La lunga consuetudine dell’attrice ad amalgamare voce e corpo fluisce con naturalezza nella immedesimazione che riesce ad ottenere con la cantante, penetrando il suo corpo e la sua anima, restituendoci i tremori e la potenza vocale all’interno di uno spettacolo originale in cui il candore dei panneggi, delle luci e delle figure alate è il riverbero della figura della cantante, abito nero e nero caschetto, che si espande nella luminosità del suo spirito inquieto e della sua voce cristallina che faceva vibrare in sintonia le corde del cuore.
Dopo aver affrontato Edith Piaf la scorsa stagione, la Giglio si rimette alla prova con un’altra tragica vicenda umana e artistica, in una drammaturgia dove le canzoni sono i passi di una vita turbata che cercava l’amore ed esprimeva bellezza.
Non un recital, quindi, ma un testo teatrale in cui sono funzionali al racconto le due figure androgine che accompagnano gli eventi della vita di Mimì. Dalla spiaggia di Bagnara Calabra dove inizia a percepire la propria fragilità e la distanza dalla prevaricatrice figura paterna che condizionerà i suoi rapporti con gli uomini, i due angeli la conducono lungo un percorso di luce nei ricordi familiari della nonna e della giovane madre, l’affetto della sorella Loredana Bertè, l’amicizia fraterna di Renato Zero, l’intervento alle corde vocali che le renderà la voce graffiante. Sotto lo scudo protettivo delle loro possenti ali, Mimì intona “Minuetto”, “Piccolo uomo”, “E non finisce mica il ciel”, “Gli uomini non cambiano”, “La nevicata del ’56”, “La costruzione di un amore”, “Almeno tu nell’universo” sempre più disillusa e sempre più fragile, flessibile qual giunco alla malvagità del mondo.
Autori che hanno scritto canzoni diventate pietre miliari della musica italiana quali Fossati, Battisti, Baglioni, Mogol, Baldan Bembo, Cocciante, De Gregori, Califano, Paolo Conte, Vasco Rossi e la mirabile immedesimazione di Melania Giglio nel complesso universo di Mia Martini tessono la trama di uno spettacolo che cattura e commuove.
Libera dal travaglio dei mostri interiori, protetta dai due angeli custodi, Mimì torna a cantare per il pubblico in una sfera di luce in cui non c’è posto per la maldicenza e il sospetto, il tradimento e l’opportunismo e il talento può espandersi con la potenza della sua estensione vocale proiettandosi verso l’infinito.
Riappacificata col mondo e con l’inconscio il tormento si stempera nell’estasi con “Mimì sarà” di De Gregori, i cui “neri pensieri” si tramutano in fiammelle di luce disseminate dagli angeli sul bianco palcoscenico, a illuminare metaforicamente la via.
Melania Giglio scarnifica l’intima essenza di Mia Martini liberandola dagli orpelli dell’infelicità per renderne la superba drammaticità, sfoderando una mimesi interpretativa e vocale che va dritta al cuore.
Gli angeli Mamo Adonà e Sebastian Gimelli Morosini sono elementi integranti della messinscena: il primo dal sorprendente registro di soprano esegue intermezzi di canti antichi che fanno da contrappunto alle canzoni della Giglio, l’altro è la quintessenza dell’eterea figura di un messaggero divino.
Il regista Daniele Salvo ha realizzato questo piccolo capolavoro di equilibrio scenico anche grazie ai costumi di Daniele Gelsi e alle scenografie di Fabiana Di Marco.