Una solitudine introspettiva che si stempera in un amore trasognato. È questo l’assunto del capolavoro giovanile di Fëdor Dostoevskij.
Dopo lunghe riflessioni elucubrando sui propri sogni e sulla paura di vivere, un giovane sognatore vaga alla ricerca di emozioni nella notte brumosa di San Pietroburgo punteggiata dalle tremolanti luci dei lampioni, sfiorando passanti intirizziti, intabarrati e frettolosi.
Sono tutti in villeggiatura, non ha amici né buoni conoscenti con cui condividere pensieri e sensazioni, anela un incontro che possa scuoterlo dall’inquietudine, dalla banalità dell’esistenza, che possa illuminare le giornate opache che si susseguono alle fantastiche notti trascorse a girovagare.
A un tratto, una figura si stacca dai manichini anonimi che affollano la via e infiamma la notte. Una nuvola bianca è il suo vestito, un raggio di sole è la sua lunga treccia. Mosso a compassione dalle lacrime della ragazza, si avvicina e l’accompagna chiedendole di rincontrarla. La giovane accetta ponendo la condizione che non si innamori di lei. Nasten’ka ha una triste storia da raccontare. Vive con la nonna cieca che la tiene legata a sé unendo i loro vestiti con gli spilli, da cui può liberarsi solo quando lei dorme.
Finalmente il cuore del sognatore ha un sussulto che lo proietta oltre le fantasticherie inseguite sprofondato nella poltrona dello studio. Capisce di aver sprecato gli anni migliori e quest’incontro sarà un momento da ricordare.
Anche Nasten’ka coltiva un sogno: attendere il ritorno di un giovane inquilino della nonna che si è trasferito a Mosca promettendole di rivedersi dopo un anno. Il sognatore, volendo proteggerla dalle illusioni, le rivela il suo amore ma la giovane, ricordandogli la promessa, si allontana con il suo innamorato appena rientrato in città.
Trascorse queste quattro notti della stagione dell’anno in cui il sole non tramonta completamente, in cui ha creduto di essere stato sfiorato dalla felicità, al sognatore restano solo una lettera di Nasten’ka e il ricordo di un istante di beatitudine. Un ricordo perenne da coltivare nello spazio angusto della stanza dove invecchierà.
Evocativa e intima l’ambientazione plumbea di San Pietroburgo con due file di lampioni baluginanti e manichini appesi quali passanti infreddoliti, in cui prende forma e si dilegua un sogno tra le dissolvenze delle luci, ideata da Fabiana di Marco.
Pittoresca la grande installazione del manichino della nonna che resiste agli strattoni dei tentativi di fuga di Nasten’ka, in questo allestimento con l’adattamento e la regia di Francesco Giuffrè.
Giorgio Marchesi ha il visionario spaesamento del sognatore nelle sue notti oniriche, Camilla Diana è fragile e sperduta; volteggia leggera quando è animata dal desiderio di riabbracciare il suo spasimante, giace disperata avvolgendosi il viso con la folta chioma prostrata dalla disperazione dell’abbandono.