Unica data in Campania nell’ambito della Quarta Edizione della Stagione Mutaverso Teatro, ideata e diretta da Vincenzo Albano.
Frigoproduzioni – Gli Scarti porta in scena “SocialMente”, ideato, diretto ed interpretato da Francesco Alberici e Claudia Marsicano che, dopo essersi conosciuti alla scuola di teatro di Quelli di Grock, hanno realizzato lo spettacolo che ha riscosso grande successo.
Il lavoro teatrale “SocialMente” ha collezionato numerosi riconoscimenti: è infatti vincitore della Borsa Pancirolli 2014 (MI); del Festival Young Station 2014 (PO); dell’OFFerta Creativa 2014 (BO).
La storia.
In epoca di social si affronta il rapporto con la Rete, agorà in cui è “necessario” essere presenti e attivi. In scena due giovani totalmente alienati: in un’allucinazione continua scorrono i sogni di successo e gli incubi di fallimento di due soggetti desiderosi di essere ma incapaci di farlo. Grazie all’uso di un linguaggio che implode e si disintegra e alla mancanza di una netta demarcazione tra azione e pensiero, realtà e irrealtà si confondono così come accade sempre più nella vita di tutti noi, dove l’identità reale è complementare all’identità virtuale: “se non sono su Facebook, in parte non sono anche nella realtà”.
La vita è una trama intessuta di relazioni. La società favorisce l’inserimento in vari ambienti che offrono a catena la possibilità di altri contatti che a loro volta consentono di conoscere e frequentare individui dalle caratteristiche molteplici e differenti per ampliare le opportunità di incontro e confronto. Il tutto finalizzato alla crescita e all’evoluzione.
Si è sempre detto che l’uomo, nel senso di essere umano, quindi individuo pensante e senziente, è fondamentalmente un animale sociale, o almeno così era fino a qualche tempo fa. L’avventura che ci capita di vivere su questo pianeta è sorprendentemente variegata e stupefacente. Aggettivo dai molteplici significati che può indurre dipendenza… Leggere con attenzione le avvertenze… Il bugiardino… Chi mai lo legge? Eppure denuncia la verità sebbene occultata da parole oscure e narcotizzanti.
Quello che non vorremmo mai vedere ed invece abbiamo visto!
Una scuola di pensiero teorizza che se qualcosa ci disturba è perché anche noi ne siamo portatori sani! Quel “qualcosa” si è materializzato venerdì sera sul palcoscenico dell’Auditorium del Centro Sociale di Salerno.
Nel buio un’isola di luce fioca al centro, su una piccola seduta (forse un pouf doppio) due figure emblematiche, rappresentanti del genere umano, un uomo ed una donna, giovani, macroscopicamente evidenziati nel loro patetico isolamento. Parole svuotate di ogni contenuto, smozzicate con intervalli spasmodicamente lunghi fra domande e risposte. Battute apparentemente inutili eppure colme, pregne di significazioni patologicamente deviate.
Una donna con forme abbondanti, molto abbondanti, si piega su se stessa abbandonandosi su un divano abbozzato e saltando con agilità inaspettata ed improvvisa , trasforma le sue curve semoventi alla ricerca di una performance perfetta cantando e ballando con sfrenata ambizione, salvo poi a ricadere su se stessa, spenta, come se la linfa si fosse prosciugata.
Le illusioni di questa società globalizzata dove tutti pensano di essere uguali e di poter fare tutto si infrangono come noci di grandine sui vetri delle finestre appannate dai fiati viziati e sudati.
La voce potente non basta.
Un televisore presente in scena vanifica la metafora, esacerbandola!
In un angolo della scena, falsamente e fintamente periferico un frigorifero blu con una grande “F”, da cui entrano ed escono i due personaggi.
Interviste registrate a giovani voci di giovani frequentatori dei siti di navigazione della rete fanno da sottofondo all’alienazione che si respira ossessivamente in sala.
Il pubblico applaude. Si riconosce in tali azioni inattive? O crede di riconoscere qualcuno a cui riferirsi? È spesso così! Non pensiamo di essere noi allo specchio, ma crediamo di conoscere qualcuno che si comporta esattamente a tal modo.
Ma davvero è così? Non c’è altro modo di presentare la realtà?
Il teatro è diventato fotografia sgranata di azioni ripetitive e di parole volgari e disgustose nella grossolana trasposizione scenica?
La scena… Quel luogo magico dove abbiamo imparato a leggere tra le righe e a sognare fra le movenze morbide ma anche aggressive, incisive e violente…in una ricerca evocativa di messaggi sublimi ed eterni… quel luogo…
La scena… È vuota…
Non tutti possono fare tutto, ma ormai la globalizzazione permette a tutti di pensare di poterselo permettere.
E sopra di tutto, la ciliegina sulla torta …il pubblico… nell’accezione di persone sedute su sedie o poltroncine anche scomode, convinte di essere speciali, perché capaci di scegliere e di godere della propria scelta.
Nell’antica Roma il Prologo nella persona del Prologo pronunciava la sua invettiva al pubblico, dicendogli cosa fare e cosa evitare. Oggi il Prologo non c’è. Non è più di moda e neanche il dibattito a fine spettacolo per approfondire i temi sviscerati dagli autori e dagli attori. Anche chi non aveva compreso bene tutto il profondo disagio che si voleva trasmettere …aveva la possibilità di entrare nelle dinamiche mentali che lo avevano innescato.
La nostra società, è vero, piange una solitudine preoccupante, ma il teatro?
Ha ancora una funzione il teatro, oltre a quella di divertire e distrarre le masse?
Può ancora lanciare l’ancora di salvataggio al naufrago che annaspa in acque agitate?
Siamo sempre i figli della Magna Grecia e forse abbiamo ancora tanto da dire e raccontare ad orecchie capaci di ascoltare.