Soprano KRASSIMIRA STOYANOVA
Pianoforte LUDMIL ANGELOV
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Franz Schubert
Geheimes D 719
da Die schöne Müllerin D 795
Trockene Blumen
Gretchen am Spinnrade D 118
Ellens Gesang III – Hymne an die Jungfrau (Ave Maria) D 839
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Richard Strauss
Die Nacht op. 10 n. 3
Mein Herz ist stumm op. 19 n. 6
Meinem Kinde op. 37 n. 3
Ich schwebe op. 48 n. 2
Morgen op. 27 n. 4
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Erich Wolfgang Korngold
Drei Lieder, op. 22
Was Du mir bist?
Mit Dir zu schweigen
Welt ist stille eingeschlafen
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Modest Musorgskij
Canzoni e danze della morte
Ninna Nanna
Serenata
Trepak
Il comandante
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Torna in recital al Teatro alla Scala, domenica 17 marzo alle ore 20, il soprano bulgaro Krassimira Stoyanova, artista molto amata dal pubblico scaligero che negli ultimi anni l’ha applaudita nel Rosenkavalier di Richard Strauss diretto da Zubin Mehta e in tre opere verdiane: Simon Boccanegra e Don Carlo diretti da Myung-Whun Chung e Aida diretta da Daniel Oren. Dal 23 aprile Krassimira Stoyanova tornerà in scena alla Scala, di nuovo in un’opera di Richard Strauss, come protagonista di Ariadne auf Naxos in una nuova produzione affidata alla direzione di Franz Welser-Möst con la regia di Frederic Wake-Walker.
Il programma del recital di domenica offre grandi pagine del repertorio liederistico di Franz Schubert e Richard Strauss, accanto alle Canzoni e danze della morte di Modest Musorgskij – autore della Chovanščina che in questi giorni alla Scala riceve a ogni recita straordinaria accoglienza da parte del pubblico – e tre Lieder di Erich Wolfgang Korngold, autore dell’opera Die tote Stadt che avrà la sua prima esecuzione alla Scala il prossimo 28 maggio con la direzione di Alan Gilbert e la regia di Graham Vick.
Prossimi appuntamenti della Stagione 2018/2019 dei Recital di canto saranno con il soprano Jessica Pratt e il pianista Vincenzo Scalera il 20 maggio e con il basso Günther Groissböck e il pianista Gerold Huber il 16 giugno.
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KRASSIMIRA STOYANOVA
Soprano
Nata in Bulgaria, ha studiato canto e violino all’Accademia Musicale di Plovdiv e violino al Conservatorio. Dopo il debutto nel 1995 all’Opera Nazionale di Sofia, ha iniziato una carriera internazionale che l’ha portata a esibirsi in tutto il mondo nei teatri più prestigiosi e nelle sedi di maggior richiamo. Dal 1998 ha una stretta collaborazione con la Staatsoper di Vienna, che nel 2009 l’ha nominata “Kammersängerin”; nella capitale austriaca ha interpretato, tra l’altro, Rachel (La juive), la Contessa (Le nozze di Figaro), Micaela (Carmen), Liù (Turandot), Nedda (Pagliacci), Mimì (La bohème), Violetta (La traviata), Alice (Falstaff), Desdemona (Otello), Amelia (Simon Boccanegra), Elisabetta (Don Carlo). Nel 2003 ha debuttato come Antonia (Les contes d’Hoffmann) al Festival di Salisburgo, tornandovi per Der Rosenkavalier (come Marescialla) e Die Liebe der Danae. Il suo ampio repertorio spazia dal virtuosismo belcantistico (Anna Bolena, Maria Stuarda, Lucrezia Borgia) ai più acclamati ruoli verdiani e pucciniani, fino all’Ottocento francese e a Richard Strauss. Inoltre ama interpretare il repertorio slavo e opere meno note al grande pubblico, come La battaglia di Legnano di Verdi, Maria di Rohan di Donizetti o Dimitrij di Dvořák.
Collabora regolarmente con i più grandi direttori, quali Daniel Barenboim, Riccardo Chailly, Myung-Whun Chung, Vladimir Fedoseyev, Daniele Gatti, Bernard Haitink, Manfred Honeck, Mariss Jansons, Fabio Luisi, James Levine, Zubin Mehta, Riccardo Muti, Seiji Ozawa, Christian Thielemann, Franz Welser-Möst. Molto richiesta in sala da concerto, ha cantato come solista nella Nona Sinfonia di Beethoven con Muti al Ravenna Festival, con Sir Colin Davis nella cattedrale di St. Paul a Londra, con Mariss Jansons in Vaticano e con i Münchner Philharmoniker diretti da Christian Thielemann. Il suo repertorio concertistico comprende, tra l’altro, il Requiem di Verdi, la Missa solemnis di Beethoven, lo Stabat Mater e il Requiem di Dvořák, i Vier letzte Lieder di Richard Strauss. Durante la Stagione 2016-2017 ha partecipato alla produzione scenica del Requiem verdiano diretta da Fabio Luisi all’Opera di Zurigo per la regia di Christian Spuck e ha interpretato il ruolo eponimo nella Lucrezia Borgia diretta da Jansons in forma concertante al Festival di Salisburgo. Nella Stagione 2017-2018, tra l’altro, ha cantato nello Stabat Mater di Rossini con Muti a Chicago e nella Rusalka come protagonista a Vienna.
Nella Stagione in corso, dopo Il trovatore alla Bayerische Staatsoper di Monaco, Ariadne auf Naxos alla Semperoper di Dresda con Thielemann e Der Rosenkavalier all’Opera di Zurigo. Nell’estate del 2019 debutterà al Festival di Bayreuth come Elsa nel Lohengrin e sarà una dei solisti del Requiem di Verdi diretto da Muti a Salisburgo. In sala da concerto, i suoi progetti recenti e futuri comprendono i Vier letzte Lieder a Roma con Chung e l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, un recital di Lieder al Musikverein di Vienna, serate con i Wiener Philharmoniker e con il Mozarteum di Salisburgo, ancora i Vier letzte Lieder a Berlino con Mehta. Nella prossima Stagione, ha in programma Aida in forma concertante con Muti e Luisa Miller alla Lyric Opera di Chicago, il Requiem di Verdi ancora con Muti al Musikverein di Vienna, Otello a Vienna e ad Amburgo, e Un ballo in maschera a Vienna.
Al Teatro alla Scala Krassimira Stoyanova ha cantato nel Rosenkavalier di Richard Strauss diretto da Zubin Mehta e in tre opere verdiane: Simon Boccanegra e Don Carlo diretti da Myung-Whun Chung e Aida diretta da Daniel Oren. Dal 23 aprile Krassimira Stoyanova tornerà in scena alla Scala, di nuovo in un’opera di Richard Strauss, come protagonista di Ariadne auf Naxos in una nuova produzione affidata alla direzione di Franz Welser-Möst con la regia di Frederic Wake-Walker.
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Evocazioni poetiche
Non troppo noto nella smisurata produzione liederistica schubertiana, Geheimes è un gioiello in miniatura: proviene dal West-östlicher Divan di Goethe, raccolta di poesie in cui l’autore ultrasessantenne canta il proprio amore ricambiato per la giovane Marianne von Willemer, con un’intensità a cui il gioco di imitare il poeta persiano Hafis aggiunge novità e freschezza. Lo sguardo dell’amata è il fulcro della breve poesia che Franz Schubert impernia su un ritmo immutabile del pianoforte, che pare di per sé un ammiccare; tutto è furtivo, intuito e non detto, sommesso. Al pianoforte è prescritto l’uso della Verschiebung, il pedale che serve a spostare (verschieben, appunto) la meccanica un poco di lato, sicché i martelletti colpiscono le corde più di striscio e il risultato è una diminuzione nell’intensità complessiva: un aiuto meccanico, insomma, a ottenere il pianissimo che dura per quasi tutto il Lied. Da parte sua, la voce riesce a combinare, in una miracolosa fusione di precisione e naturalezza, una melodia di assoluta grazia con sfumature recitanti che scavano nel senso più riposto del testo, concludendo, fra l’altro, con una curvatura che sembra uscita dalle labbra di Florestano nel Fidelio di Beethoven.
Trockene Blumen è invece un canto di assoluta desolazione: terzultimo del ciclo Die schöne Müllerin (1823), trasforma l’immagine ingenua dei fiori secchi, dono della cara mugnaia, in una metafora dell’amore che senza un perché ha voltato le spalle. Il tema tenerissimo e insieme disperato si regge nella prima parte sugli accordi scarni e catatonici del pianoforte; ma nella seconda parte l’idea del passo dell’amata, che forse un giorno manderà un pensiero un po’ pentito a chi le voleva tanto bene, trasmette al pianoforte un ritmo di marcia che tenta invano di mascherare il dolore in un impossibile ottimismo.
Gretchen am Spinnrade è fra i vertici assoluti della storia del Lied, il canto di un amore turbato e inquieto, quello di Margherita ormai interamente assorbita dal pensiero di Faust. “Svanita è la mia pace”, pensa mentre meccanicamente fa girare l’arcolaio; il lavorio della ruota si specchia nella frase avvolgente e ininterrotta del pianoforte, mentre il canto si muove tra momenti sovrappensiero e slanci appassionati: e su uno di questi, al ricordo del bacio di Faust, la mano tralascia di spingere l’arcolaio e il pianoforte resta di colpo in sospeso. In conclusione, una pagina arcifamosa come l’Ave Maria, propriamente una preghiera derivata dalla Donna del lago di Walter Scott in cui è la protagonista, Ellen, a recitarla; Schubert inventa una delle sue melodie ad ampia gittata e la circonda di un’aureola sonora in cui il pianoforte imita le arpe angeliche.
La celebrità come operista e autore di poemi sinfonici ha un po’ occultato il contributo di Richard Strauss alla storia del Lied, che invece lo accompagnò lungo l’intero arco della sua vita, fino al congedo con i Vier letzte Lieder. Proprio l’op. 10, pubblicata nel 1885, segnò il passaggio dall’apprendistato alla maturità; il terzo brano, Die Nacht, sembra un’emanazione delle grandi pagine di contemplazione notturna di Schubert e Schumann, ma rivela già tutto Strauss fin dall’ansa iniziale della voce, che anticipa un frammento dell’oboe nel poema sinfonico Don Juan, all’epoca ancora da comporre. Mein Herz ist stumm muove da un’immobilità che ricorda di nuovo lo Schubert di Winterreise, ma la scioglie poi in morbidezze liberty e in uno scavo prosodico millimetrico, quasi cartone preparatorio per future opere “di conversazione”. Tutto mormorato accanto alla culla del bimbo che già dorme, Meinem Kinde scorre su un disegno quasi ipnotico del pianoforte e si conclude ripetendo l’inizio, a metà tra ninnananna e preghiera. Ich schwebe traduce uno dei verbi chiave del romanticismo (schweben, ossia aleggiare, fluttuare), in un passo di valzer delicatissimo che pare di nuovo uno schizzo per opere future, dal Rosenkavalier ad Arabella. Morgen!, infine, che Strauss nel 1897 orchestrò, esordisce con un lungo preludio, quasi un lento dischiudersi della luce e dell’alba. La voce entra a sorpresa, inserendosi inosservata quasi come se avesse già cominciato a cantare da prima; su stumm (“muti”) l’armonia ha una mutazione inattesa e il canto resta come sospeso, finché la pagina evapora in pianissimo.
Bimbo prodigio, giudicato “un genio” da Gustav Mahler, Erich Wolfgang Korngold era figlio di uno dei critici più potenti e temuti nella Vienna del primo Novecento, Julius Korngold: posizione scomodissima, che finì per danneggiarlo e far pagare a lui le stroncature assestate dal padre. Proprio questo accadde alla sua opera Das Wunder der Heliane (1927), di cui Julius era riuscito a organizzare allestimenti a tambur battente in ben dodici città, ma che fu duramente attaccata come reazionaria da tutti quelli che avevano trovato riprovevole la lotta ingaggiata dallo stesso Julius per impedire che a Vienna si rappresentasse Jonny spielt auf di Ernst Krenek. Fu nei mesi seguiti a questa batosta che Erich compose i tre Lieder op. 22: quasi una fuga dalla grande dimensione, nella forma cameristica e ai confini del silenzio. Il primo, preceduto dal termine innig, “interiore”, “intimo”, che tanto piaceva a Schumann, tenta di spiegare “che cosa sei tu per me” (“Was Du mir bist”), e in realtà si arresta di continuo su commosse stupefazioni, quasi abolendo gli accenti forti e cantando come in sospensione sulle parti deboli della battuta. Ancora più elusivo il seguente Mit Dir zu schweigen, poetica evocazione del silenzio fra due persone che si vogliono bene e che non hanno bisogno di parlare per comprendersi: anche qui canto e pianoforte si intrecciano strettamente e nel loro muoversi per intervalli minimi sembrano timorosi di rompere il silenzio. L’accordo finale resta in sospeso, come accade anche nell’ultimo brano di questa terna, Welt ist stille eingeschlafen: dove la flessuosità Jugendstil, condivisa con i due Lieder precedenti, si combina con una ricerca di timbri chiari e diafani, capaci tramite il pianoforte di evocare la luce fredda della luna.
Col titolo di Canzoni e danze della morte furono pubblicati postumi (1882) quattro pezzi per voce e pianoforte che Modest Musorgskij compose nel 1875 (le prime tre) e nel 1877 (l’ultima). Autore dei testi era il conte Arkadij Goleniščev-Kutuzov, stretto amico di Musorgskij, che addirittura fra il 1874 e il 1875 divise con lui l’abitazione. Di Goleniščev-Kutuzov, poeta per diletto e gran pessimista, Musorgskij aveva già musicato i testi per le liriche Senza sole e le stesse Canzoni e danze della morte sarebbero dovute essere ben di più delle quattro effettivamente messe in musica; ma forse la fine della convivenza (causata dal matrimonio del conte) frenò Musorgskij in un progetto che riapriva in lui una ferita viva. Solo nel 1877, instaurato ormai un rapporto amichevole anche con la diciassettenne sposina di Arkadij, Modest aggiunse ancora un quarto brano, ma qui a ogni buon conto si fermò.
La prima canzone (Ninnananna) è introdotta al pianoforte da una figura spettrale e insinuante, che poi va ad arenarsi su una dissonanza proprio mentre la voce esordisce dichiarando: “Geme il bambino”. Sopra questo pallore il canto procede per un tratto modellandosi sull’andamento delle frasi, sprigionandosi dalle parole stesse, finché nel dialogo tragico fra la madre che veglia il bimbo malato e la morte prevale quest’ultima, con una ninnananna ipnotica e avvolgente. Nella Serenata la malata è invece una bella ragazza, che veglia spiando fuori una notte fresca e stellata che pulsa per sinestesia nel disegno regolare del pianoforte; la morte comincia a cantare sotto le sue finestre una nenia ripetitiva, ma di una bellezza sinistra e intossicante, con cui riesce a stregare la ragazza, fino al grido conclusivo: “Sei mia!”. Il Trepak sviluppa ancor di più le implicite tendenze teatrali dei canti precedenti: un contadino ubriaco cammina barcollando in una notte di tormenta, mentre i bassi inciampano e si incagliano di continuo, e finisce nelle braccia della morte, che lo uccide impegnandolo in uno scatenato trepak (trepat’ significa “battere i piedi”, secondo il movimento caratteristico di questa danza). Infine, nel Comandante, la morte imperversa sul campo di battaglia; alla furia dei combattimenti subentra una pace sinistra, che trasforma in marcia funebre la marcia militare. Sopra quest’immobilità si leva l’inno della morte, che conta le sue truppe, accresciute dai recenti caduti, e tiene loro una dura lezione, troppo tardi appresa: dove la vita non riesce a portare la pace, è la morte a imporla per sempre.
Elisabetta Fava
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