Differenti punti di vista, differenti aspettative e intenzioni, differenti modi di guardare la realtà di cui fanno e facciamo parte; i protagonisti di Blume (in tedesco “bocciolo”) sono giovani separati dalla diversità e dalla diffidenza, nodi di una rete tanto compatta sulla scena – nel dare vita a una coreografia non ballata ma perfetta nella sua semplicità – quanto frammentata e disomogenea nel contenuto. Raccontare le idiosincrasie alla base del distacco, del partizionamento sociale, della paura e dell’odio: il difficile proposito di Barbara Altissimo, ideatrice e regista di Blume, è stato raggiunto.
Il canale privilegiato per un racconto simile è la fisicità degli sguardi. Acchiti, frecciate e sottecchi tirano quelle labili corde che uniscono la rete sul palcoscenico, esprimendo con efficacia drammatica sentimenti ed emozioni dei giovani interpreti, restituendo con precisione il significato della drammaturgia di Emanuela Currao: il risultato scenico è meraviglioso in senso estetico (anche per merito dell’illuminazione progettata da Massimo Vesco e dei costumi di Alessia Panfili), è spiazzante in senso narrativo, risolvendosi in una gestualità “crudele” (anche nella possibile accezione di un Antonin Artaud).
Per “raccontare le idiosincrasie” che stanno alla base di «pregiudizi, stereotipi, fastidi» rivolti alla diversità etnica, fisica o mentale, racconta Altissimo, è necessario «guardarli in faccia»: in Blume non appare nessun pretesto buonista di uguaglianza diffusa e aprioristica, anzi, è uno spettacolo che evidenzia e celebra le diversità e i molteplici punti di vista dei singoli. La partecipazione collettiva degli interpreti del gruppo Liberamenteunico al processo creativo rinuncia spesso alla parola, di conseguenza, lasciando spazio a espressioni non verbali (coreografate da Altissimo) che tessono e sfilacciano di continuo la rete di questo piccolo feticcio sociale.
Quando il testo predomina il movimento non si sostituisce al particolare linguaggio empatico-corporeo elaborato dal gruppo, ne precisa piuttosto il significato sotteso; così anche la colonna sonora live di Didie Caria, sempre presente sullo sfondo ovattato per sottolineare con un linguaggio ulteriore – il canto, il ritmo – l’andamento della scena.
Scrivere di uno spettacolo che spesso rinuncia volontariamente alla verbosità didascalica rischia di sminuirne la capacità evocatrice: Blume rappresenta un’esperienza unica per ogni singolo spettatore, il cui sguardo sull’alterità del palco viene ad aggiungersi a quei molti che ne sostanziano la drammaturgia. La muta comunicazione tra gli attanti del palcoscenico riesce nell’incredibile traguardo di trasmettere una narrazione – un significato – attraverso gli archetipi del proprio “essere” nei confronti del diverso.
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Blume
di Barbara Altissimo
drammaturgia Emanuela Currao
colonna sonora originale eseguita dal vivo Didie Caria
collaborazione artistica alla creazione Emanuela Currao e Didie Caria
assistente alla regia Valeria Stefanini
disegno luci e spazio scenico Massimo Vesco
costumi Alessia Panfili
organizzazione e comunicazione Roberta Cipriani
produzione LiberamenteUnico nell’ambito del progetto IN VERDIS