Maurizio Lombardi sorprende il pubblico fiorentino con una data imprevista al Puccini, nella sua città, accolto con caloroso affetto dal pubblico. Sente il bisogno, in un aprile un po’ nuvoloso per il clima atmosferico ma anche per quello politico, di raccontare una storia. Una storia di amicizia e di resistenza, con e senza maiuscola. Nell’estate del 1930 due bambini, Ettore e Domenico, si trovano nella soffitta di un palazzo di via Maggio, in Oltrarno. Il tetto è abitato dalle rondini, che lo riempiono con il loro sbattere d’ali e con un cullante cinguettio. Domenico è ammaliato da questi piccoli volatili, di più, ne è il re. È l’uomo rondine, nella sua fase di bambino rondine. I due stringono un forte rapporto di amicizia, che sono costretti ad interrompere quando il padre di Domenico si trasferisce con la famiglia al nord per lavoro. Le loro strade si separano, per poi rincontrarsi inaspettatamente anni dopo. Siamo nel 1944, in una Firenze teatro di scontri e guerriglia partigiana. Ettore e Domenico sono ormai due giovani che la vita ha messo di fronte a una scelta. Si ritrovano uno di fronte all’altro, uno contro l’altro, da due parti opposte del fronte. Uno partigiano, l’altro cecchino. Non sono cambiati poi molto, se si riconoscono subito e se mantengono gli stessi atteggiamenti, la stessa ostinazione che avevano da bambini. Uno con fare un po’ prepotente, disturbato nella sua arroccata solitudine dall’intervento dell’altro, che è deciso ad aiutarlo, consapevole che la sua è una maschera e che nessuno si salva da solo, neanche l’uomo rondine.
Maurizio Lombardi conferma ancora una volta la sua capacità di raccontare, regalando al pubblico una storia semplice, familiare, una storia vera. Accanto a lui sul palco Giuseppe Scarpato, noto chitarrista napoletano, che ha curato la sonorizzazione. Le parole e la musica si armonizzano e si integrano, senza mai ostacolarsi, in un binomio bilanciato e arricchito dalle luci di Nicola Magnini.
Più che a teatro, lo spettatore si sente ospite a casa di amici, in trepidante ascolto dell’aneddoto di quel personaggio di cui gli hanno parlato, quello che “come le racconta lui…”. E lui, Maurizio Lombardi, le racconta proprio come se fosse a casa di amici, magari in Oltrarno, a riferire una delle tante storie ascoltate da conoscenti oppure origliate per strada: con quel ritmo, quel timbro, quelle espressioni del volto che aggiungono sale al racconto. Perché alla fine, che le cose siano andate proprio così, o che il narratore ci abbia messo un artistico zampino per renderle più gustose all’orecchio del pubblico, poco importa. Domenico è l’uomo rondine perché crede di esserlo, Ettore ci crede perché glielo ha detto Domenico e noi ci crediamo perché ce l’hanno presentata come una storia realmente accaduta, raccontata da un parente stretto. Solo quando a una storia ci si crede, ne possiamo imparare qualcosa. Il teatro è un atto di fede e Maurizio Lombardi un buon predicatore.