Aveva ventitré anni Erich Wolfgang Korngold quando Die tote Stadt – un’opera che sembra dettata da Sigmund Freud tanto il suo libretto è legato al mondo dell’inconscio con torbidi erotici, traumi e incubi – andò in scena nel 1920 contemporaneamente al Theater der Stadt di Colonia, diretta da Otto Klemperer, e allo Stadttheater di Amburgo. Grandissimo successo nelle due città. Il libretto in realtà fu scritto da Korngold stesso insieme con Paul Schott, pseudonimo del padre Julius, ed è basato su un breve romanzo, Bruges-la-Morte di Georges Rodenbach. La Bruges del titolo, città medioevale belga di tradizione cristiana, è infatti il luogo dove il protagonista vive nel ricordo di una moglie idolatrata, scomparsa anni prima, che improvvisamente ha un’apparente reincarnazione in una graziosa ballerina dalla morale disinvolta, una versione sexy della moglie-madonna. Il protagonista, che sognava di ritrovare la defunta nell’aldilà, si ritrova su questa Terra a letto con la sua sosia. Freud, Jung, Lacan, Recalcati troverebbero in questo sogno un conflitto psichico tra la fedeltà alla moglie morta e il desiderio di una sostituta per affrontare la solitudine. “Korngold era viennese come Freud, che aveva una ventina d’anni prima dato alle stampe il suo saggio sull’interpretazione dei sogni, ove spiega che nel sogno un desiderio trova sempre quell’appagamento che l’Io inconscio rigetta come moralmente inammissibile e che perciò rimuove”, così Franco Pulcini nella sua presentazione dell’opera. E ancora: “Il musicista spiega a chiare lettere la sua sensata tesi, su cui siamo tutti d’accordo: è necessario contenere il lutto per una cara persona morta, onde dare spazio ai diritti della vita”. Purtroppo il superbo orchestratore e inventore di temi, appartenente a famiglia ebraica, fu costretto a emigrare negli Stati Uniti. L’ex ragazzo prodigio, “un genio musicale”, come lo definì Gustav Mahler, “la più forte speranza della nuova musica tedesca”, come profetizzò Giacomo Puccini, trovò in Hollywood la sua nuova patria e conquistò presto un ruolo di primo piano nel cinema americano, vincendo l’Oscar per la migliore colonna sonora originale scritta per due film, Avorio nero e La leggenda di Robin Hood. Ma totale fu verso di lui la disattenzione da parte dell’ambiente modernista che gli stava intorno, da Schönberg a Stravinskij. “Si sentì sempre un infelice emigrante”.
L’opera andrà in scena alla Scala, per la prima volta, il 28 maggio con la direzione di Alan Gilbert e la regia di Graham Vick.
Nell’incontro “L’incubo freudiano e il doppio femminile”, con ascolti e proiezioni, parla di Die tote Stadt Maurizio Giani, docente di Estetica musicale all’Università di Bologna.
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Teatro alla Scala – Ridotto dei Palchi “A. Toscanini”
Giovedì 23 maggio 2019 ore 18
Ingresso libero fino a esaurimento dei posti
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