Intervista a cura di Il Granchio in Frack
La musica è una compagna perfetta. Ti dà ispirazione, suggestione, gioia; ammorbidisce gli animi e rafforza i ricordi. Ci son delle canzoni che son meglio di una fotografia, di un diario dei ricordi o di un video. Note che ti riportano indietro nel tempo ad una risata, ad una persona, ad un preciso istante lontano. Il mondo non può fare a meno della musica, sarebbe come chiedere ai pesci di fare a meno del mare.
– Mi ritrovo a ticchettare il tempo con le dita. Lo faccio sempre. In macchina, mentre cammino, quando cerco di trovare le parole giuste e, porca miseria, non mi vengono in mente nemmeno scandendo il ritmo nell’aria.
Non ho una grande cultura musicale, per me uno dei migliori artisti al mondo è il “one man band”. Avete presente di cosa parlo? Quello che va in giro da solo con tutti gli strumenti musicali addosso, come Bert nel film “Mary Poppins”, ve lo ricordate? Quel tipo buffo con i campanelli alle caviglie, i tamburi sulla schiena e la tromba sulla spalla. Mentre cerco di canticchiare la sua strampalata melodia facendo finta di scalciare e di suonare un’armonica immaginaria che mi spunta dal petto, mi chiedo: ma che cosa ne so io di gruppi musicali?
La risposta è: praticamente nulla! Mi vengono in mente solo film da adolescenti come “School of rock” o “Begin again”. Sbaglio o solitamente i gruppi si formano per caso e poi iniziano a suonare in qualche garage? Voi avete iniziato così? Accordando i vostri strumenti illuminati da una lampadina appesa ad un filo che penzolava dal soffitto di qualche garage?
No! Ahahah! Possiamo dire che noi abbiamo iniziato a suonare in culla. Ognuno nella sua è ovvio! Ci chiamiamo Kimberly, Fabrizio, Massimiliano e Ferdinando. Ogni tanto suona con noi anche Francesco. Siamo una band come tante, formatasi a Palermo, nel profondo sud. Ciascuno di noi ha iniziato a far musica per conto suo. Abbiamo età, caratteri, esperienze e studi differenti poi, ad un certo punto, ci siamo incontrati e ci siamo piaciuti. Abbiamo iniziato a creare qualcosa di unico insieme e, inevitabilmente, abbiamo fuso le nostre individualità in un unico cuore pulsante.
– Un cuore vibrante direi, la vostra musica ha un ritmo davvero accattivante. Come fanno una studentessa d’ingegneria meccanica, un architetto, un insegnante di batteria e uno d’inglese a decidere di creare un gruppo di noise rock?
Max si era trasferito da Roma a Palermo per motivi personali, dopo qualche tempo ha iniziato a cercare qualcuno con cui fare musica e grazie a qualche annuncio lasciato in qua e là, ha conosciuto Fabrizio. Poi si è aggiunto il batterista ed infine la cantante. Da dicembre 2014 siamo… Come si può dire?… Uniti per la musica!
– Perché “Bye Bye Japan”? Chi ha scelto questo nome per la band?
Il nome lo ha proposto Max. Lui e Fabrizio sono grandi fan della regista italo-americana Sophia Coppola e si sono ispirati alla scena finale del film “Lost in translation”.
Quello che volevamo sottolineare è la magia che si nasconde dietro l’incontro di persone diversissime che trovano il loro punto di contatto, ossia il loro punto d’amore, nella musica.
– Quindi si tratta di una parola d’addio, che però in realtà è un inizio, il principio di un legame e non un’espressione di abbandono. Ragazzi, di cosa parlano le vostre canzoni?
Sono una sorta di fotografia estemporanea di ciò che ci piace. Un libro che ci ha appassionato, un quadro che ci ha emozionato, un film che ci ha aiutato a crescere. Cose così, di vita quotidiana, di vita vissuta, annusata, sudata, sognata, goduta e assaporata. Parliamo anche di noi stessi, delle nostre ambizioni, delle nostre convinzioni, del doveroso superamento di qualsiasi forma di pregiudizio o discriminazione.
– Mi immagino voi quattro che discutete a proposito di un accordo; vi vedo mentre proponete di cambiare qualche parola nel testo e ipotizzo anche che, tra una battuta e l’altra, vi gustiate dei dolcetti alla pasta di mandorla o un’arancina. Facendo uno sforzo in più e concentrandomi proprio per bene, riesco a sentire anche il profumo dolce di una cassata. Troppi cliché per un’unica frase vero? Beh sì, forse ho esagerato ma, fatemi capire, come vi è venuto in mente di cantare i vostri testi in inglese?
Il motivo è semplice: siamo cresciuti con la musica straniera, perlopiù quella anglosassone ed americana, e ci rimane facile comporre i testi direttamente in inglese. Crediamo poi che con l’annessione all’Europa sia quasi doveroso pensare oltre gli schemi e i confini. Siamo profondamente convinti che il pubblico italiano sia più che pronto ad ascoltare musica dal respiro internazionale.
– Quando avete capito di poter fare sul serio?
Daniela, a dir la verità ancora oggi (senza alcuna ironia) non lo abbiamo capito. Lavoriamo con molta passione ai nostri progetti. Notiamo che, quando riusciamo a portarli in giro, piacciono molto ma, non abbiamo mai avuto un momento di reale presa di coscienza. Suoniamo perché ci fa stare bene e perché è quello che ci piace fare. Ovvio che se arrivasse il successo con la S maiuscola, credo che nessuno di noi impiegherebbe un solo secondo a prendere la decisione di dedicarsi completamente alla musica.
– Avete appena concluso il vostro primo album “In the cave” e presto tornerete ad esibirvi live. Sui vostri canali social è possibile scoprire le date dei concerti e so che siete piuttosto attivi, avete partecipato a molti spettacoli musicali e vinto premi in contest nazionali.
Siamo passati dal gremito Teatro di Verdura di Palermo che ci ha regalato un’emozione ancora vivida nel nostro cuore, al Gallinarock 2018, dove abbiamo avuto la possibilità di dividere il palco con Franky Hi-Nrg e Zulu dei 99 Posse.
– E ditemi, com’è suonare davanti ad un pubblico così numeroso? Fa paura? Mette ansia? Un pochino sì dai…
No, ad essere sinceri proprio per nulla. Anzi, forse è l’unico momento in cui tutti e quattro ci sentiamo veramente a nostro agio. Stare sul palco è il nostro posto naturale, l’habitat dell’artista, il salotto del compositore.
– Ragazzi, quello che mi piace di voi è che praticamente fate tutto da soli. Scrivete i testi, la musica e girate i video dei vostri brani.
Realizzare un video musicale è uno stress pazzesco. Siamo affiancati da professionisti ma, nonostante questo, è faticoso dover girare la stessa scena più volte, non è naturale, è tutto finto e nonostante il divertimento sia proprio il dover “recitare”, è più complicato di quello che potrebbe sembrare.
– Mi fa ridere pensare che venga fatto tutto in playback durante la realizzazione di un video musicale, d’altronde non poteva essere altrimenti, ci sono cantanti che fanno capriole e corrono scalmanati su e giù per le scale o lungo strade trafficate e, non posso immaginare non abbiano nemmeno un accenno di asma o di respiro affannato, trafelato o con qualche colpo di tosse. Non sarebbero normali accidenti! Gente che si sveglia e inizia a cantare come un usignolo? Ma andiamo! Al mattino io ho la graziosa voce di un orco e le cantanti mi vorrebbero far credere che loro si svegliano già con il do di petto in canna?!
“Bye Bye Japan”, mi piace proprio parecchio il vostro nome, adesso ci vorrebbero gli occhiali “magici” del vostro video “Crickets” per concludere in bellezza questa chiacchierata. Purtroppo ragazzi non ne ho un paio a disposizione in questo momento (chissà in quale borsa li ho infilati), perciò non mi resta che ringraziarvi ma, prima di lasciarvi, vi chiederò un’ultima cosa. Che cos’è il viaggio per voi?
Il viaggio è scoperta. Scoperta di luoghi e di persone. Capita che proprio alcune di quelle persone si rivelino ottimi compagni di viaggio, gente con la quale si stringe un’amicizia inaspettata e rara da scovare… Un po’ come trovare il pentolone di monete d’oro in fondo all’arcobaleno. È viaggiando che si fanno quegli incontri incredibili che ti arricchiscono nel profondo, quelli inaspettati, quelli che durano un secondo o una vita intera. Il viaggio può darti molto o semplicemente, può regalarti quella bella sensazione di aver vissuto qualcosa che altrimenti ti saresti potuto perdere.
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