Per la sua 47 ͣ edizione il Premio di satira politica di Forte dei Marmi è diventato un festival, che ha invaso la cittadina versiliese per cinque calde serate di luglio. Ascanio Celestini, Makkox, Luca Bottura, Stefano Massini, Elio, Rocco Tanica e altri si sono avvicendati sul palcoscenico per raccontare a modo loro l’arte della risata amara. La satira, infatti, non è altro che una risata anagrammata, stravolta, scombinata. Una mezzaluna sul volto mai rilassata, pronta a disegnare smorfie contrite. Più o meno tagliente, è una lama difficile da maneggiare, con cui si rischia di ferire noi stessi prima di arrivare all’affondo finale. Quello che la contraddistingue dalle altre arti comiche è proprio la necessità di toccare qualcuno, colpirlo nel suo punto debole, sia esso un singolo politico o un’intera società. Sta alla vittima decidere se reagire al pungolo con l’offesa o incassare il colpo riconoscendo di aver lasciato scoperto il fianco.
Ideato e diretto da Beppe Cottafavi, il Premio ha vantato anche quest’anno una giuria d’eccezione: insieme al fondatore hanno lavorato l’immancabile Serena Dandini, la giornalista Lilli Gruber, la preziosa spalla, nonché autore, Andrea Zalone, il fondatore di Spinoza.it Stefano Andreoli, lo scrittore fortemarmino Fabio Genovesi, l’ex vicedirettore di Panorama Pasquale Chessa e il sindaco di Forte dei Marmi Bruno Murzi.
Otto le categorie premiate, che uniscono la tradizione satirica italiana con le nuove frontiere della comicità via web. Ai vincitori il satiro disegnato da Altan, raro esempio di statuetta esteticamente apprezzabile, che tutti vorremmo sullo scaffale d’ingresso.
La Dandini rompe il ghiaccio con una battuta sulla Lega e i russi, che al Forte i rubli li portano già da tempo, e si parte con il premio per la Letteratura, che va a Giacomo Papi per il romanzo Il censimento dei radical chic. In un’Italia immaginaria ma non troppo, gli intellettuali – tutti rigorosamente bollati come radical chic – vengono schedati in quanto pericolosi: il loro uso difficile, e dunque improprio, del linguaggio non può che destare sospetti nel Primo Ministro degli Interni. Papi non è uomo da palcoscenico, ma quando prende il microfono pronuncia quelle poche parole che bastano a invogliare alla lettura del suo libro: distingue tra la satira “da bulli”, che spara a zero sull’obiettivo ostentando superiorità, e quella invece che alza uno specchio davanti al pubblico e quindi anche a sé stessa. Il censimento dei radical chic è certamente della seconda, più raffinata specie.
Altro pesciolino fuor d’acqua nella kermesse è la giovane Zuzu, che a 23 anni sforna una graphic novel intitolata Cheese degna di nota da parte di fumettisti del calibro di Gipi e Ratigher, oltre che della giuria del festival, la quale riserva per lei queste parole: «In scena le angosce, lo smarrimento, la liquidità dei rapporti e l’incertezza dei riferimenti, non dimenticando mai la leggerezza e il sorriso, qualità irrinunciabili in un talento comico, che come si sa è ciò che resta quando guardi la tragedia dall’altro lato. Che poi è quello di Zuzù. Un lato unico».
E già che l’abbiamo citato, sveliamo anche il vincitore del premio per i Cortometraggi: Gipi, insieme al compagno di visioni Gero Arnone. Un’accoppiata vincente, che ha trovato in Propaganda Live una casa al sicuro da commenti sovrabbondanti, un mezzo per arrivare al grande pubblico nella purezza del loro folle genio. Cottafavi esulta nel poter finalmente premiare il fumettista pisano, sempre sfuggito al satiro. Gipi si difende: i suoi acquerelli, anche quando comici, non possono essere considerati satira politica. Chapeau.
Il premio per il doppiaggio non poteva andare che a Fabio Celenza, musicista di formazione, che da YouTube sbarca sul piccolo schermo, trovando anche lui spazio per la sua creatività nel programma di Zoro, dove «ha trovato una inattesa dimensione satirica: trasfigurandoli nel nonsense delle inflessioni dialettali, ha saputo rendere i politici più autentici di quanto non siano con le loro vere voci». Non si tira indietro nemmeno di fronte all’improvvisato doppiaggio in diretta, che dimostra la bellezza del sapersi divertire col proprio talento.
Col merito di aver vestito la satira di uno stile neomelodico, si aggiudica il premio dedicato alla musica Enzo Savastano – all’anagrafe Antonio De Luca – che di stile ne ha da vendere. Quel paio di occhiali da sole da cui non si separa mai lo ha scelto e lui non ha potuto fare altro che arrendersi a una carriera di successi batticuore e strappalacrime, raccontando su poche note un’italietta che forse ci eravamo illusi di aver superato.
Nella categoria della stand up comedy – sì, esiste anche nel Belpaese – sbaraglia la folta concorrenza Francesco De Carlo con Brexit. Facile fare ironia sulla stand up comedy, meno facile cimentarsi nel genere in Inghilterra, sull’appena votata uscita dall’Unione Europea. Un comico italiano che migra per cercare opportunità altrove. Fuga di risate.
Il premio per la categoria web se lo aggiudicano i The Jackal, collettivo di giovani conosciutisi sui banchi di scuola e legati dalla passione di provocare risate costruendo sketch che vanno dal semplice botta e risposta alla parodia, fino alla satira di costume che li ha portati fin qui. La giuria ha saputo aspettare la loro piena maturazione prima di insignirli del satiro.
Le statuette dedicata alla tv sono tre: una va a un volto noto, che però negli ultimi mesi ha indossato una nuova maschera: Isabella Ragonese, cimentatasi all’interno della TV delle ragazze – gli Stati generali in un tutorial che spiega la differenza tra corteggiamento e molestia. La brutale ovvietà assume una brillante efficacia. Ed è proprio il programma di Rai Tre condotto da Serena Dandini ad aggiudicarsi il secondo satiro per la tv: con vera sorpresa e malcelato imbarazzo la madrina della serata riceve da Cottafavi e Zalone il riconoscimento che chiude la serata. Qualche minuto prima di lei, un’altra donna di spettacolo, di tv e di teatro ritira il premio: Sabina Guzzanti, di cui sempre nella trasmissione di cui sopra abbiamo avuto l’occasione di riassaporare il talento. Imitazioni, costruzioni di personaggi, monologhi, programmi e persino film documentari. La Guzzanti negli anni ha adattato la sua arte a vari contenitori senza mai smussare gli artigli. Anche sul palco di Villa Bertelli dà prova della sua ecletticità passando in pochi istanti dall’impegnata recitazione della poesia “Ollolanda” a un godibilissimo duetto musicale con Fabio Celenza. Il bello della diretta.
Il satiro più prestigioso, quello alla carriera, che prevede, oltre alla statuetta di Altan, “L’Ape” del Maestro Pietro Cascella – un simil-fermacarte che si ispira al simbolo della manifestazione, l’ape che punge, come la satira – va a Corrado Guzzanti, che festeggia così i suoi trent’anni di genio creativo. Lorenzo, Vulvia, il cardinale Pizarro, e poi Tremonti, Bossi, Bertinotti, senza dimenticare il gerarca Barbagli del mitico Fascisti su Marte. Cottafavi alla fine della lunga motivazione arriva al punto: «Il genio comico di Corrado Guzzanti viene dal ghigno cattivo della migliore commedia all’italiana, quella di Risi e di Monicelli. […] Perché la satira, quella che si nutre del pensiero, ha lo stesso compito: raccontare noi stessi, sbattendoci addosso il peso del declino a cui siamo arrivati senza poterci nascondere. E Guzzanti ci fa ridere. E pensare».
Il peso del declino, che grava su ognuno di noi. Eppure ce ne accorgiamo solo quando l’ape satirica ci punge sulla schiena. C’è chi, voltandosi, si accorge del fardello e chi se la prende col laborioso insetto dandogli anche la colpa del mal di schiena, che poi, si sa, è un lascito dei governi precedenti. In un paese dove raramente qualcuno si assume le proprie responsabilità e la caccia al capro espiatorio è diventato lo sport nazionale – salvo poi dichiararsi tutti animalisti – l’appuntamento di Forte dei Marmi è una boccata d’aria nella canicola estiva. Un luogo dove dare il giusto peso alle cose, un termometro della situazione satirica, dunque politica e sociale. Un momento per riflettere sul ruolo dell’ape dentro e fuori il suo alveare. Ne vien fuori una visione lucida, che mette insieme la disillusione di Gipi e l’orgoglio minoritario di Luca Bottura, la cotonatura di Lilli Gruber e la profonda bontà di Makkox. Tempi duri per chi dovrebbe pungere e si ritrova potenziali vittime con pungiglioni molto più grandi dei suoi. La politica ha derubato la satira del suo linguaggio tagliente, della sua cattiveria. Chi riesce a resistere, strappando ancora una risata amara, più che un premio dovrebbe ricevere un vitalizio. Purtroppo il governo è contrario, forse.