Madama Butterfly è senza dubbio una delle opere più conosciute e rappresentate di Giacomo Puccini, ma anche una delle più apprezzate nel panorama contemporaneo e non solo. La sua potente semplicità, le arie orecchiabili, la struggente storia d’amore e l’archetipo della ragazza sedotta e abbandonata, la musica che accompagna lo svolgimento della tragedia con perfetta aderenza emozionale, la rendono un capolavoro assoluto ed immortale.
La scelta di inaugurare il Festival Milano Opera e Ballet (presentato dalla Opera & Ballet Swiss Cultural Association e alla sua prima edizione) proprio con la Butterfly di Puccini e con soli due titoli in cartellone (non a caso il secondo sarà La Traviata di Giuseppe Verdi, in scena il 26 luglio) non sembra quindi essere casuale e si pone senza dubbio come alternativa per il pubblico milanese alla più blasonata e ricercata stagione scaligera.
Alternativa che la città meneghina sembra accogliere con entusiasmo, nonostante si trattasse di una prima con nomi non proprio conosciutissimi, al teatro degli Arcimboldi.
Una produzione di buon livello, che certo non si pone l’obiettivo di eguagliare quelle del Piermarini ma di cui, forse, la città ha bisogno per riscoprire il semplice gusto di andare a teatro e godere di uno spettacolo lineare e comunque ben confezionato, ad un prezzo più accessibile.
Le scene immaginate da Marco Pesta sono semplici ma funzionali, così come la regia di Massimo Pezzutti che si mantiene fedele al libretto, in linea anche i costumi della Sartoria Teatrale Bianchi.
Nel complesso la rappresentazione è priva di fronzoli o di grandi espedienti creativi e resta fedele al libretto, non in un senso scolastico, ma comunque senza la pretesa di offrire un punto di vista del tutto originale, prestando molta più attenzione al contenuto che alla forma.
Solo la concertazione di Gianmario Cavallaro, eseguita dall’Orchestra Filarmonica Italiana, offre qualche spunto di peculiarità: nonostante un insieme che spesso perde l’equilibrio tra buca e palcoscenico, il maestro ci regala comunque dei momenti godibili.
I cantanti sono tutti di buon livello, a partire da Luigi Albani nel ruolo di Pinkerton: una voce potente e pulita ma allo stesso tempo espressiva, uno strumento raffinato nelle tante arie del primo atto.
Al contrario Hiroko Morita nel ruolo di Cio-cio–san è rimasta un po’ ingessata nel primo atto, indugiando troppo spesso in vibrati esagerati e potenza vocale non necessaria, per lasciarsi andare via via, dando il meglio nel terzo atto, dove è sembrata quasi del tutto diversa sul palco.
Apprezzabile anche Viktoria Shapranova nel ruolo di Suziki: una voce limpida e ricca di sfumature. Nonostante il ruolo secondario ha portato all’insieme un contributo importante.
A fine recita applausi convinti da un teatro non proprio al completo ma tutto sommato entusiasta.