Éric-Emmanuel Schmitt, classe 1960, prolifico romanziere franco-belga pubblicato in tutto il mondo, è considerato uno degli autori di maggior successo nel panorama della drammaturgia contemporanea.
“Piccoli crimini coniugali” si fonda sul serrato confronto tra Marco (Gilles nella versione originale), affascinante scrittore di romanzi polizieschi e Lisa, la donna con la quale è sposato da vent’anni.
Michele Placido e Anna Bonaiuto si muovono con nervosa disinvoltura nella scenografia modernariale creata da Gianluca Amodio, tra quadri astratti e accessori démodé, molto adatti a contrastare gli intrighi e le accuse imminenti, con l’apparente routine e ordinarietà di quell’interno fatto di bottiglie di liquore svuotate e di libri riposti in buon ordine sugli scaffali.
Marco usando la strategia del baro che estrae a poco a poco le carte dalla manica di nascosto, finge di perdere la memoria finché ottiene dalla moglie la verità su quanto accaduto la sera in cui, a seguito di un incidente domestico, è caduto a terra privo di sensi. Sta di fatto che con il rientro del marito dall’ospedale Lisa ha il difficile compito di guidare, quasi estranei, il doloroso percorso per sconfiggere le amnesie del marito e riportarlo alla normalità.
Marco appare inizialmente rassegnato, dal canto suo, Lisa lo accoglie in casa incoraggiandolo a ricordare alcuni degli episodi della loro vita matrimoniale con la caparbietà di chi vuol giocare a mettere il proprio compagno di fronte a se stesso, per poi ritrovarsi in una nuova identità di coppia. La loro serata assieme è un momento di resa dei conti ma anche un affettuoso avvicinarsi, complice l’attrazione fisica, che illumina tutte le difficoltà e i pregiudizi da cui Lisa decide di affrancarsi, muovendosi nevroticamente tra il salotto e il piano superiore, nel tentativo di lasciarsi dietro una parvenza di dignità e di ordine domestico.
I dialoghi sono intriganti e corrosivi, come nei drammi borghesi di Strindberg, Cechov, Pirandello, Bergman cui Schmitt è inizialmente ispirato. L’adattamento e la regia di Placido restituiscono tutta l’alienata stagnazione di questa coppia provocata dalle recriminazioni e dalle ossessioni generate dalla paura del tradimento e dell’abbandono, che trova a tratti accenti umoristici e ironici, grazie alle infinite sorprese che ci riserva l’Autore.
Un testo teatrale che ha conosciuto anche una versione cinematografica costruita sul virtuosismo di Margherita Buy e Sergio Castellitto e una fortunata messinscena teatrale interpretata da Elena Giusti e Paolo Valerio.
La produzione in scena al rinnovato Teatro Quirino di Roma, fino al 13 ottobre, tiene testa a questi precedenti. La partitura respira grazie all’esperienza dei due attori protagonisti, capaci di imbrigliare il testo per offrire tutte le svariate coloriture psicologiche di un atto unico, tagliente e senza cedimenti che, tra divagazioni, battibecchi, segreti svelati e amare confessioni, disegna quel mix di strategie che permette alla coppia di sopravvivere nella irrequietezza di un’era contemporanea che non dà tregua neppure agli affetti e mette a soqquadro ogni certezza.