Ricordando l’Aquila, dieci anni dopo
Sala delle Colonne, Ca’ Giustinian, 28 Settembre, 16.30
Un’occasione per ricordare.
Così Ivan Fedele, direttore artistico di Biennale Musica, ha salutato la partecipazione dei Solisti Aquilani in un concerto in memoria dei dieci anni dal drammatico sisma.
Ma non solo.
Perché l’orchestra abruzzese è da anni un importante riferimento italiano in Europa, una orchestra che proponendo programmi dal barocco alla contemporanea porta l’Aquila sulle scene musicali.
E su questa forte appartenenza alla propria terra e alla rinascita post-sisma che si è formata la scaletta della serata tutte con prime assolute di autori italiani quali Andrea Manzoli, Stefano Taglietti, Roberta Vacca e Pasquale Corrado nel doppio ruolo di compositore e direttore.
Diversi modi di parlare del terremoto come diversi sono gli approcci musicali ascoltati.
Post fata resurgo (Manzoli) sfrutta l’ottima esecuzione di Ciro Longobardi al pianoforte accompagnato dagli archi dei Solisti Aquilani prima tappeto sonoro, poi dialogante e infine fade away finale. Facile riconoscere un piccolo richiamo alla forma del concerto con la cadenza accordata al solista.
Molto ritmica la visione di Stefano Taglietti che in Moving Point sfrutta l’abitudine a cercare il frammento classicheggiante per togliere costantemente la sensazione di sicurezza una volta raggiunta. Questo fino ad un continuo disgregarsi melodico, solo accennato dalla seconda parte del brano.
Prima compositrice in cartellone in questa edizione, Roberta Vacca preferisce nel suo Rosso Celestino collegarsi al passato inserendo frammenti dal ricordo ecclesiastico rivisti in chiave contemporanea. Tre rintocchi sforzati sono il richiamo fissato per quella che al primo ascolto appare una divisione interna che scandisce lo scorrere del tempo. Scenografico il finale in piedi alla maniera barocca.
Se si dice usualmente che il violoncello sia lo strumento più vicino alla voce umana, il brano Dove non si tocca in mare di Pasquale Corrado decide di mostrarcelo in prima persona donando una bellissima linea finale al solista Michele Marco Rossi. Dopo un inquieto flusso di coscienza all’orchestra d’archi in cui il solista dialoga e argomenta, quelle poche frasi cantate dall’origine popolare fanno quietare quella paura di non riuscire a dominare la Natura descritta dal compositore.
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I pirati di Chomsky
Teatro alle Tese, 28 Settembre, 20.00
Serata teatrale alle Tese dell’Arsenale, dove il pubblico ha potuto assistere a due prime assolute, anche in questo caso come nel pomeriggio di compositori italiani nel segno dello scrittore Eugene Ostashevsky.
Accompagnati dall’ottima atipicità strumentale dell’Arsenale ensemble (sax, pianoforte, chitarra elettrica, contrabbasso e fisarmonica) in veste di musicisti e anche attori, il direttore Filippo Perocco ha eseguito la sua opera Come foglia opaca, melologo introspettivo in cui la voce del soprano Livia Rado ha attinto da alcuni frammenti (terzo e quinto sonetto) della raccolta The Feeling Sonnets.
Un percorso di lungo respiro in cui le mani divengono protagoniste sul palco.
Di altro tenore il brano The Pirate Who Does Not Know The Value of Pi dall’omonimo libro.
Decisamente più d’intrattenimento in virtù dei ritmi e dai tempi scenici più serrati.
La storia del naufragio del pappagallo (una ottima prova scenica di Esther-Elisabeth Rispens) e del suo pirata (e dei suoi compagni-strumentisti) che cercano di instaurare un rapporto comunicativo basato sull’assurdo e il non-sense in cui però vengono discusse le basi stesse della comunicazione e del linguaggio fra esseri di diversa specie.
Funzionale la regia e la scenografia di Antonello Pocetti e Antonino Viola che hanno dislocato i personaggi e gli esecutori in altrettante piattaforme ad occupare l’intero palco, fornendo così nella prima opera quella sensazione di solitudine necessaria e garantendo diversi siparietti scenici adatti alla seconda opera.
Menzione speciale per il fantasioso costume ideato per il pappagallo.
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Novità da Israele
Teatro Goldoni, 30 Settembre, 20.00
Protagonista della serata il ritmo, filo conduttore del programma pensato dal Meitar Ensemble per la Biennale. In soli quindici anni di vita, l’ensemble israeliano è riuscito facilmente ad imporsi sulla scena mondiale, emergendo per la particolare attenzione alla commissione e all’esecuzione di nuovi brani.
Il brano di Philippe Leroux, Postlude à l’épais, si contraddistingue per un interessante alternarsi di frasi e punti quasi fosse un codice morse.
Una scansione temporale iterata a più riprese con differenti tempistiche e maggiore o minore spessore nel tessuto musicale fino all’ultima lunga frase bruscamente interrotta.
Molto interessante l’approccio alla forma di Noriko Baba.
Le sue Non Canonic Variations partono proprio dalla negazione di variazione non in quanto mutamento ma in quanto forma musicale.
Il tema estratto da J. S. Bach non solo non viene mai esposto in origine apparendo irrimediabilmente slabbrato in una specie di slow motion quasi comico. Le successive variazioni, lontane da quel processo di lenta modifica che aiuta lo spettatore a cogliere il lavoro del compositore e la sua inventiva, prendono subito una deriva irriconoscibile in cui solo la fiducia dell’ascoltatore può riconoscere il Vom Himmel hoch, da komm ich her (trad. Vengo dall’alto dei cieli) bachiano. Più fede di così!
Di spessore la ricerca timbrica in The skin of the onion di Mauro Lanza, presente in sala.
Un brano giovanile (2002) in cui il compositore italiano inserisce degli inserti ritmici cangianti.
I brani di Amos Elkman (Tripp) e Philippe Hurel (…à mesure) hanno permesso di mostrare le ottime capacità pianistiche del direttore dell’ensemble, Amit Dolberg.
Tutti brani molto concettuali, fra frattali e realtà intuitiva che possono essere apprezzati più da uno studio approfondito che da una isolata esecuzione.
Chiara e precisa la direzione di Pierre-André Valade.