Un penny per i suoi pensieri, M° Aperghis
Teatro alle Tese, 01 Ottobre, 20.00
Teatro e robot.
L’ultima opera del leone d’oro George Aperghis è un uragano continuo di impulsi visivi e sonori. Argomento la mai sopita discussione fra uomo e macchina e il loro rapporto.
In Thinking Things, Aperghis decide di superare quest’empasse che dagli anni ’80 governa letteratura e arte, alla maniera di Asimov, ovvero con ironia.
Riducendo costantemente le differenze fra di essi finché diventa impossibile distinguere chi sia fatto di carne e chi di circuiti.
Imponente l’utilizzo di apparecchiature, numerose telecamere riprendono i personaggi da diverse posizioni, per, poi, riproporle proiettando quelle stesse immagini, una visione a mo’ di cubismo dei protagonisti.
Quattro soli interpreti (umani), Johanne Saunier, Donatienne Michel-Dansac, Richard Dubelski, Lionel Peintre dialogano con le controparti robotiche (deliberatamente a pezzi), in un continuo alternarsi di frasi e parole, comparendo e scomparendo dietro alla scena di Daniel Levy.
Proprio l’allestimento scenico, pensato dallo stesso Aperghis per la regia, non sembra voler modernizzare la tematica riportandoci indietro di almeno una trentina d’anni.
Ci pensa però la musica stessa e l’elettronica curata da Olivier Pasquet – IRCAM a riportarci ai nostri giorni.
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Monteverdi in Biennale
Teatro Goldoni, 02 Ottobre, 20.00
Programmare Monteverdi in una edizione di Biennale Musica sembra quantomeno difficile. Ci ha provato l’Ensemble Spirito che accompagnati da i Ferrabosco hanno proposto la Missa da cappella a sei voci, sul motetto “In illo tempore” del Gomberti.
Il filo di collegamento con il successivo brano di Gianvincenzo Cresta, De l’infinito, l’utilizzo delle sei voci e della loro tessitura vocale, è sembrato un po’ troppo esile.
Troppo ancorato nel passato Monteverdi nonostante la variegata inventiva compositiva, troppo anacronistico il brano di Cresta che non spicca né per il testo (“Fendo i cieli e a l’infinito m’ergo” di Giordano Bruno viene ripetuto in tutti i modi possibili) né per l’elettronica che sì amplia le possibilità delle voci impiegate (echi, delay, armonici) ma sempre indossando un abito troppo barocco e risultando quasi un abbellimento che una reale necessità compositiva.
D’altra parte proporre un Monteverdi a Venezia è come portare Mozart a Salisburgo.
Tutto da perdere, poco da guadagnare.
Applausi per gli esecutori.
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Un leone d’argento metallizzato
Teatro Toniolo, 03 Ottobre, 20.00
“…il suo percorso si distingue per l’intelligenza curiosa e indagatrice, lo stile efficace, estremamente comunicativo anche nelle forme più complesse nelle quali convergono esperienze artistiche non solo circoscritte nell’ambito della musica di scrittura, ma anche provenienti da una pratica assidua del rock”.
Con queste parole il direttore artistico Ivan Fedele e il presidente Baratta consegnano il leone d’argento a Matteo Franceschini (aka TOVEL).
Uno dei più giovani compositori presente in cartellone a questa edizione (classe ’79) presenta l’ultimo capitolo del suo progetto di fusione fra contemporanea e electro-rock con Songbook.
Un bello spettacolo sicuramente (e fortunatamente) lontano dallo standard molto serioso della contemporanea, merito anche del lavoro alle luci di Mariano De Tassis. Nei panni di compositore-esecutore (al basso), Franceschini ricerca continui binari di unione fra la scrittura contemporanea e i canoni della musica popular, ricorrendo a stilemi che spaziano dal new wave dei Depeche Mode di fine anni ‘80 fino all’alternative rock in stile Editors.
Non completamente sfruttata la presenza dell’ensemble classico, alcune volte ridotto ad una semplice orchestrazione delle idee musicali. Molto più valide la ricerca elettronica e la polistrumentalità del quartetto rock.
Energica la direzione di Francesco Bossaglia che ben ha condotto l’Icarus e il Cantus Ensemble.
Lo spettacolo è stato poi replicato nei giorni successivi al Festival Aperto di Reggio Emilia.
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Back to globalization
Teatro Goldoni, 04 Ottobre, 20.00
Cosa accadrebbe se ripensassimo l’orchestra inserendo quegli strumenti che non sono della tradizione classica occidentale?
Un buon punto di partenza è il lavoro dell’Atlas Ensemble, un laboratorio interculturale che raccoglie strumenti da ogni parte del globo e li mette assieme, appianando conflitti e diversità.
Idea originale che il loro creatore Joël Bons mette in mostra nel brano Nomaden, un lungo percorso compositivo ma anche sociale, in cui il compositore olandese riesce ad integrare senza perdere le loro peculiarità, strumenti orientali, asiatici ed europei.
In un continuo dialogo con il violoncello solista (un appassionante Jean-Guihen Queyras) vediamo ogni strumento presentarsi, far conoscere il proprio timbro e la propria natura e poi accomodarsi nel tutti orchestrale, in un susseguirsi di ritmi e melodie sempre cantabili e apprezzabili.
Un progetto molto bello che mette in mostra la musica come possibile elemento di integrazione e di superamento di altre barriere fin troppo presenti nella nostra cultura.