di Ben Elton
traduzione Raffaella Rolla
musiche dei Queen
direttore artistico Valentina Ferrari
coreografie Gail Richardson
scene Colin Mayes
direzione musicale Riccardo Di Paola
direzione vocale Alessandro Torella
regia Michaela Berlini
durata dello spettacolo: h 2,30 con intervallo
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In un futuro distopico alla Blade runner, sul pianeta Moll – forse la nostra terra tra qualche anno? – eseguire musica dal vivo è proibito. Non esistono più strumenti musicali se non nelle leggende. La tentacolare multinazionale Globalsoft organizza ogni aspetto della vita delle persone. La sola musica che è possibile ascoltare è programmata con un algoritmo, per consumatori acritici. Pensare in maniera divergente, vestirsi diversamente o avere amici in carne ossa sono bollati come “comportamenti anti social media”; sono infatti apprezzati i rapporti virtuali, latori di like e follower, mentre l’ambizione condivisa sembra essere il successo della rete, tanto facile quanto effimero.
Nel contesto delineato si muovono Galileo Figaro, ragazzo timido e sognatore, dalla vivida fantasia e Scaramouche, diciassettenne senza peli sulla lingua dalla grinta inesauribile. Entrambi sono dapprima emarginati dai loro coetanei e temuti dalla società, fino ad essere rinchiusi nella prigione dove si incontrano. Riescono a fuggire, prima di subire la lobotomizzazione della loro immaginazione e ad intraprendere un viaggio che farà scoprire a entrambi l’esistenza di un gruppo ribelle. I Bohemians sono i partigiani della resistenza Rock, in un mondo dove questa parola è bandita e, conseguenza ancora peggiore, quasi dimenticata; sono alla continua ricerca del luogo dove la fiamma della musica brucia perpetua, raccontato nel mito custodito dal bibliotecario Pop. La lezione è celebrare la forza delle storie e dell’azione del raccontarle, proprio nel momento in cui la memoria storica è stata modificata e cancellata.
Questi ragazzi soprattutto si chiedono: «Che cos’era di preciso il rock?». Il rock è sentimento, è sesso, amore, ribellione, libertà, coraggio, vita vera: il rock è tutto quello che vogliamo che sia.
La scena si apre con l’allestimento del palco che ci si aspetta dopo aver visto in giro per la città i manifesti pubblicitari; una scenografia piuttosto semplice, ferrosa e componibile, d’effetto; è compito dei ballerini, attori e/o cantanti spostarla e modificarla con grande energia, durante la loro interpretazione, mentre cantano con grandi voci o si muovono in modo davvero fantastico. Particolare menzione merita il corpo di ballo che, seppur di soli otto elementi, non si limita a riempire lo spazio attorno agli attori principali ma cattura continuamente su di sé l’attenzione degli spettatori.
I personaggi emergono dalle canzoni come delle suggestioni quando vengono ascoltate, e dunque non hanno spessore, profondità, storia: hanno il carattere (ed i nomi!) ad omaggiare le canzoni, già immortali, della band britannica.
Il testo contiene un aspro giudizio sulla contemporaneità, ossia proprio il tempo che stiamo vivendo; vengono solo accennate tematiche importanti come la diversità, il riscaldamento climatico o la liquidità dei rapporti sociali, senza la volontà di approfondirne nessuna.
Le scene risultano quasi slegate tra loro, sono le canzoni le indiscusse protagoniste che hanno già suggerito una possibile via da perseguire per raccontare questa storia, laddove è chiaro l’intento di esaltare il mito dei Queen. Mito che può rivivere ancora nell’evidente compartecipazione del pubblico, intrepido nell’aspettare di potersi unire al coro di Bohemian Rapsody.