È il Mar Mediterraneo il protagonista quasi assoluto del toccante Idomeneo, re di Creta di Mozart con la regia del canadese Robert Carsen nel nuovo allestimento che chiude la stagione del Teatro dell’Opera di Roma (ultime repliche fino al 16 novembre), coproduzione del teatro capitolino con il Teatro Real di Madrid e la Canadian Opera Company di Toronto.
È un mare che unisce e che divide, un vero mare nostrum in una regia che guarda alla contemporaneità raccontando la parabola di Idomeneo calandola nei nostri tempi: il colpo d’occhio è chiaro con evidenti riferimenti ai naufragi nel Mediterraneo che riempiono la cronaca, alle recinzioni dei campi profughi, ai giubbotti di salvataggio arancioni, intenta a raccontare un’umanità sofferente e ferita dalla fine della lunga guerra di Troia.
La guerra raccontata da Carsen è universale, moderna, ma di fatto senza tempo perché tutti sono vittime, tanto i profughi sconfitti quanto i soldati vincitori e lo stesso Idomeneo, re errante, ritratto di un’umanità sofferente, esausta dalla guerra e dalla devastazione.
L’anelito della pace e della libertà passa anche attraverso la differenza fra le generazioni, la vecchia generazione rappresentata da Idomeneo ed Elettra ancora rancorosa e belligerante e la nuova generazione rappresenta da Idamante ed Ilia, pronti al sacrificio pur di portare la pace. Insomma un allestimento toccante che guarda e parla di attualità in uno scenario di guerra con militari e rifugiati e città bombardate e coinvolge anche la Comunità di Sant’Egidio all’insegna dell’impegno civile e sociale del teatro.
Il cuore dello spettacolo è e resta un palpitante e vivissimo Mar Mediterraneo che rende anche atemporale la dicotomia fra vecchie e nuove generazioni, fra guerra e pace: in questo raffinato allestimento di Carsen dove militari e profughi si si aggirano sulla spiaggia, il mare è onnipresente, minaccioso o rassicurante, con un mostro che viene evocato e simboleggiato dalla guerra.
La modernità dell’allestimento non tradisce mai la vocazione di inno alla pace e all’unità in un finale pieno di speranza che è una chiara dichiarazione anti-bellicista e che si lascia dietro lo scontro generazionale (fra Idomeneo e Idamante) dove tutti si liberano dalle divise miliari e tornano ad essere uomini ed essere umani liberi.
Cast unico per l’opera diretta con profondità e tempi taglienti e sempre molto approfonditi da Michele Mariotti al debutto sul podio capitolino per un raro titolo del1781 che torna a Roma solo per la seconda volta, e dove spicca Idomeneo, Charles Workman, voce scura e presenza vigorosa, molto applaudito dal pubblico, e un cast al debutto nei ruoli, con Joel Prieto, agile Idamante senza dimenticare i bellissimi e contrapposti ruoli femminili di Rosa Feola (e Adriana Ferfecka) nel ruolo della devota e innamorata Ilia dal timbro luminoso e Miah Persson, drammatica Elettra, e ancora Alessandro Luciano (Arbace), Oliver Johnston (Gran Sacerdote), Andrii Ganchuk (“una voce”, da Fabbrica) che raccoglie bene la sfida psicologica del regista canadese e del direttore d’orchestra.