Scene da un matrimonio borghese in dissoluzione. O forse no, o forse non del tutto. Questo forse è il senso che meglio si adatta a Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman con la regia del russo Andrei Konchalovsky che ha aperto con successo la nuova stagione del Teatro Eliseo di Roma.
Ultima tappa di una lunga tournée cominciata nel 2018 dal Mercadante di Napoli, Scene da un matrimonio segna la nuova regia italiana del russo Konchalovsky in occasione del centenario della scomparsa di Bergman, il primo che aveva indagato con spietata verità nelle pieghe di un rapporto matrimoniale.
Ormai perfettamente rodato, Scene da un matrimonio continua ad essere uno dei migliori spettacoli dell’anno che Konchalovsky confeziona ricavandolo dall’omonimo film del 1973 (a sua volta tratto dello sceneggiato originale per la tv) e spostandolo nella Roma degli Anni Sessanta, fra Caroselli e show della rete pubblica, traffico e scorci della Città Eterna.
Nulla stride in questo spostamento di luogo e di spazio proprio perché Konchalovsky mostra brillantemente come Scene da un matrimonio possa funzionare ambientato in ogni epoca e in ogni luogo mettendo in scena gioie e (molti) dolori di una coppia sposata. A ogni latitudine e in ogni momento storico, i problemi restano o sono gli stessi tanto che diventa praticamente impossibile per ogni spettatore, uomo e donna che sia, non immedesimarsi in un momento qualsiasi del rapporto di coppia portato in scena.
Konchalovsky ripropone in quattro quadri distinti i momenti di vita di una coppia borghese di Roma formata da Milenka, architetto russo, e Giovanni, professore universitario.
Due carriere e un matrimonio solo apparentemente perfetto e idilliaco, tutto all’insegna del non detto. Dietro i colori sfavillanti degli anni Anni Sessanta, i buongiorno teneri del mattino, le cose sono ben diverse. Attimo dopo attimo, Konchalovsky svela la routine e tutti i problemi celati dietro la quotidianità.
Quali sono allora le tappe classiche di un matrimonio? La felicità iniziale della vita di coppia, la convivenza e l’intimità della quotidianità lasciano spazio alla routine, all’insoddisfazione con i coniugi che via via non risparmiano di lanciarsi reciprocamente frecciatine velenose sulle fallite aspirazioni di coppia o su una vita sessuale maldestra e ben poco gratificante. Il fallimento di un matrimonio stanco viene sancito dal tradimento di lui che decide di abbandonare la moglie per una studentessa. Cliché usurato? Niente affatto, è realtà a tutto tondo con tutto quello che ne segue dal dolore nascosto di Milenka dietro la compostezza apparente della donna fino al malcelato senso di colpa di Giovanni. Dopo un anno gli equilibri cambiano ancora e ancora in un finale inaspettato o forse no.
Bravissimi in ogni momento Julia Vysotskaya – Milenka e Federico Vanni – Giovanni (già Petruccio sui generis nella meravigliosa Bisbetica domata al Teatro Argentina nelle stagione 2013 diretta da Konchalovsky): lei di una bellezza luminosa e abbagliante, dolce e seduttiva, fragile e disperata, lui insoddisfatto e cinico, ma incredibilmente possessivo e debole, ben più fragile della donna.
In uno scontro di coppia continuo è molto difficile distinguere chi sia realmente il carnefice e chi sia la vittima perché i ruoli si alternano continuamente tanto che l’empatia dello spettatore oscilla spesso e volentieri.
In uno spettacolo tagliente e ironico, Konchalovsky coglie tutta la modernità ancora straziante di Bergman con occhio illuminato osservando non senza commiserazione, fra sguardo ora lucido ora empatico, le dinamiche imprevedibili di una coppia qualunque. Perché i bergmaniani Marianne e Johan così come Milenka e Giovanni sono la coppia simbolo dell’imprevedibilità dei rapporti coniugali che vanno al di là di ogni etichetta che si sviluppa nel né con te né senza di te di Truffaut.