La tematica pirandelliana fondata sulle dicotomie essere e apparire, lucidità e follia lascia il dubbio circa la verità che sta dietro i fatti. L’essere umano è come egli si percepisce o come gli altri lo vedono? L’autentica natura delle cose viene camuffata dalla maschera grottesca delle convenzioni che produce sofferenza, ma può anche approdare alla catarsi di una vita coerente con la nuova immagine di sé, in uno sforzo di avvicinamento fra apparire ed essere?
Rappresentata per la prima volta nel 1917, quest’opera del drammaturgo di Girgenti si fonda sull’assioma che la verità oggettiva non esiste.
Nel salotto a soqquadro dell’abitazione del consigliere Agazzi (Riccardo Ballerini) la moglie Amalia (Alessandra Scirdi) e la figlia Dina (Marial Bajma Riva) rivelano alla signora Sirelli (Caterina Gramaglia) di non essere state ricevute dalla nuova vicina signora Frola (Marina Lorenzi).
La signora vive da sola mentre la figlia e il marito signor Ponza (Riccardo Polizzy Carbonelli) abitano in periferia, essendosi trasferiti dalla Marsica dopo il terremoto. Il genero lavora in Prefettura come collaboratore di Agazzi, ma nessuno ha visto la moglie e perfino la madre deve appostarsi sotto il balcone sperando che si affacci per comunicare con dei biglietti calati col paniere.
Tutto ciò alimenta illazioni e curiosità, tanto che il consigliere, vestitosi d’autorità, chiede al Prefetto di intervenire costringendo il subalterno a confrontare la sua versione con quella della suocera per far emergere la verità.
Il signor Ponza sostiene di essersi risposato dopo la morte della moglie ma deve tenere lontana la suocera, impazzita di dolore, che ritiene che la seconda sia sempre sua figlia. La signora, viceversa, dichiara che il genero fu travolto da una tale frenesia d’amore per la giovane sposa da metterne in pericolo la stabilità emotiva al punto che divenne necessario ricoverarla. Ritornata a casa in salute, il marito non la riconobbe, ritenendola un’altra donna pretese un nuovo matrimonio e da allora la tiene chiusa in casa per paura di perdere anche lei.
Entrambe verosimili, le due versioni sono incompatibili, ma i documenti sono andati persi nel terremoto e la verità oggettiva non può essere appurata.
Soltanto Ludovico Laudisi (Martino Duane), cognato del consigliere, rimane equidistante e indifferente alla spasmodica ricerca di riscontri, consapevole che la realtà è soggettiva e ha tante sfaccettature. Tuttavia, per chetare gli animi della piccola borghesia locale destabilizzata da comportamenti così inusuali, chiede al prefetto (Marco Usai) di fornire una verità ufficiale.
Riccardo Polizzy Carbonelli e Marina Lorenzi sono dolenti e ritrosi nell’imbarazzo della situazione che sono costretti ad affrontare, circondati da personaggi macchiettistici.
La regia di Francesco Giuffrè allestisce, intorno alla tematica psicanalitica pirandelliana, una messinscena dai toni beffardi e burleschi fortemente caratterizzati, cui contribuiscono la recitazione parodistica di qualche personaggio e la scenografia di Fabiana De Marco che anziché un salotto borghese di inizio Novecento presenta un ambiente di mobili accatastati coperti di polvere, alludendo all’ipocrita confusione che regna nella mente dei personaggi. Isolato su un livello rialzato il cognato Laudisi, l’unico ad avere una cognizione chiara dell’impossibilità di raggiungere la verità, che osserva dall’alto il turbinoso andirivieni e fa oscillare il lungo lampadario gettando luce ora sulla verità degli uni ora su quella degli altri (disegno luci di Luca Palmieri).
Scrive nelle note il regista: “Cos’ha di così particolare questa commedia? … c’è la manipolazione della verità, c’è il credere una cosa per poi essere subito smentiti e sorpresi, c’è l’affezionarsi al Signor Ponza o alla Signora Frola, i due personaggi che muovono la storia, raccontando ognuno una propria verità per dar conto, agli altri personaggi, di come vivono la loro vita. Ed è qui che il meccanismo geniale di Pirandello si fa gioco teatrale, capovolgendo per tre volte di seguito la percezione della verità per i personaggi che fanno le domande e per il pubblico che guarda”.