Otto ragazzi si muovono ritmicamente e scompostamente, lanciando urla onomatopeiche. Poi raccolgono teste di animali poggiate lateralmente a terra e le indossano, continuando ad emettere suoni.
Sono le bestie di Animal Farm di George Orwell che vivono in schiavitù in una fattoria inglese. Stanche delle angherie, si coalizzano per organizzare la rivoluzione anelando la libertà. Affrancatesi così dal padrone tiranno si trovano a sperimentare la democrazia e fissare delle regole. La costante umanizzazione comporta un’evoluzione verso modelli sociali di prevaricazione che contravvengono ai principi che hanno animato il senso della rivolta, ma la consapevolezza del fallimento inizia a generare sensi di colpa verso i compagni che sono caduti sul campo.
La figura del maiale che esprime qualità di leader assoggetterà tutti, ricorrendo a metodi repressivi e terroristici. Il sogno di un futuro di pace si infrange contro un nuovo potere, più feroce del precedente perché esercitato contro i propri simili. Tutto il percorso di lotta li ha resi liberi, ma liberi di essere schiavi.
Sotto forma di allegoria favolistica, come nelle favole di intento pedagogico a contenuto morale di Esopo e Fedro, Orwell descrive i prodromi, lo sviluppo e gli effetti della rivoluzione russa del 1917 che, tradendo gli ideali di uguaglianza con il sostegno della propaganda, sfocia nella dittatura comunista di Lenin e nelle atrocità di Stalin, tenendo sotto controllo anche la libera opinione dei paesi democratici.
Dietro le allegorie si individuano lo zar Nicola II (il fattore), Trotsky e Stalin (i maiali Palla di Neve che vuole costruire un mulino e Napoleon che prevale scagliandogli dietro i cani), Marx (il saggio maiale Vecchio Maggiore che esorta i compagni a ribellarsi), la chiesa ortodossa (il corvo Mosè), la propaganda (il gallo), la polizia segreta (i cani), le masse popolari (la pecora).
Quando gli ideali vengono calpestati da coloro che lanciano slogan, si afferma il nuovo comandamento “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.
La lotta per la libertà, la corruzione della democrazia che tende a nazionalismo e totalitarismo costruendo muri e consolidando i confini per lasciar fuori lo straniero era monito per l’Europa alla fine della seconda guerra mondiale quando il testo è stato pubblicato, e oggi è metafora della deriva dei paesi occidentali di fronte alle nuove istanze.
L’adattamento ispirato alla Fattoria, realizzato da Paolo Alessandri con la Sofia Amendolea Theatre Company ha conquistato ben 15 premi internazionali nella versione inglese, come migliore spettacolo, miglior regia, migliore qualità interpretativa, migliore drammaturgia, migliore coreografia, migliore ricerca vocale, premio del pubblico, premio della critica giovane in prestigiosi festival in Europa e Nord Africa.
Molto giovani gli interpreti Sophia Angelozzi, Ilaria Arcangeli, Alessandra Barbonetti, Selena Bellussi, Lucrezia Coletti, Daniele Flamini, Gabriele Namio, Vincenzo Paolicelli. Indossando la testa zoomorfa, assumono le corrispondenti posture ed emettono i versi ma, da bestie contaminate dall’esempio umano, si esprimono e si comportano come gli umani, rivelando crudeltà e cinismo verso i propri simili. Energia, agilità fisica, capacità recitativa, qualità vocali, senso del ritmo danno vita a una performance di forte impatto evocativo, eleganza formale e armonia estetica in cui le teste colorate rappresentano il punto focale nel monocromatismo dei costumi.
“Per rendere sin da subito chiara la condizione di schiavitù dei protagonisti, che si ritrovano a vivere una realtà che li costringe al lavoro ed alla privazione di qualsiasi diritto, il cast ha lavorato sullo stato emotivo e fisico degli afroamericani schiavi nei campi di cotone – o condannati ai lavori forzati negli istituti detentivi del Nord America – che per farsi forza e non cedere alle crudeltà a cui erano sottoposti intonavano “a cuore aperto” le Negro Prison Songs. Lo spettacolo parte proprio da qui: dagli attori che, con posture animali, intonano gli stessi canti per sopravvivere alla ‘Fattoria’, e da mesi di scrittura scenica basata su improvvisazioni corporee e verbali, ispirate al romanzo di G. Orwell” scrive Alessandri nelle note di regia.
Un’operazione artistica che veicola una connotazione sociale di pregnante contemporaneità.