Il miglior biglietto da visita possibile: Les vêpres siciliennes di Verdi nell’originale e integrale versione francese non potevano essere la scelta migliore per inaugurare la stagione sinfonica 2019/2020 del Teatro dell’Opera di Roma dove era stata rappresentata nel 1997, ma mai in versione integrale con le lunghe danze.
Una scelta importante quella della versione integrale in lingua originale con i balletti per il nuovo allestimento di una grand-opéra (la prima per Parigi del compositore di Busseto, del 1855) che ha segnato non solo l’apertura di stagione, ma anche il debutto ufficiale del Maestro Daniele Gatti sul podio (già alla quarta apertura di stagione romana) ora nella vesti di Direttore Musicale del teatro romano, il debutto al Costanzi della regia di Valentina Carrasco dalla Fura del Bauls e dello scenografo star Richard Peduzzi.
La grandiosità monumentale dell’opera si avverte proprio dall’ouverture e dagli straordinari suoni e colori ricchi di sfumatura del Maestro Gatti che regala una direzione pulita, sottile e sofisticata, analitica e raffinatissima con una cura e una totale attenzione nei confronti dell’orchestra, sofisticata in ogni dove. Il maestro Gatti tornerà sul podio del Costanzi anche nel gennaio 2020 per I Capuleti e i Montecchi di Bellini e per un doppio Stravinskij a ottobre con The Rake’s Progress e l’Oedipus rex di Stravinskij.
L’allestimento, che coinvolge ogni forza del teatro in tutta la sua integrità, è magnifico e grandioso, esattamente come la musica e la vicenda portata in scena: un dramma storico ambientato nella Sicilia occupata del 1282 che assume i toni ora atemporali ora pseudo contemporanei con gli occupanti in divise militari e le vittime in abiti stile Anni Quaranta (di Luis F. Carvalho).
La storia si svolge poi su un duplice binario, la storia politica nella dicotomia fra invasori e invasi e quella intima e privata dei personaggi: Guy de Monfort, capo dei francesi che occupano la Sicilia scopre di essere il padre di Henry, capo dei rivoltosi già innamorato della duchessa Helene. Tragedia finale annunciata con i Vespri Siciliani che daranno il via alla liberazione della Sicilia contro i francesi.
A sottolineare il fil rouge della prima delle opere francesi di Verdi con le precedenti è proprio lo stesso Gatti che lascia notare come il compositore recuperi ancora una volta la figura del padre, un personaggio pronto a mutare.
In questa grand opera che per definizione mescola e propone diversi tipi di linguaggio l’allestimento pensato dalla Carrasco è quasi atemporale: la registra spiega di essere partita dalla pietra simbolo di una terra che è stata abusata e sfruttata, ma che costituisce di fatto l’essenza stessa di un territorio.
“Prima di essere Sicilia è una terra occupata: le stanno rubando il cuore e questo è l’elemento che collega tutta l’opera” aveva dichiarato la Carrasco, al debutto ufficiale al Costanzi, ma già nota al pubblico romano per la sua Proserpina di Rihm al Teatro Nazionale e per la sua Carmen “messicana” a Caracalla.
Le scene asciutte di Richard Peduzzi, al debutto a Roma, si presentano come grandi parallelepipedi movibili in pietra a formare le scene, ora interni, ora esterne a regalare il giusto tocco di inquietudine e a rendere atemporale l’ambientazione restituendo la forza della terra con le luci maestose e cupe di Peter van Praet.
Concretamente la regia sella Carrasco offre diversi spunti interessanti che si manifestano soprattutto nell’interpretazione delle donne, ora fantasmi, ora reali, ma sempre vittime della violenza delle occupazioni fin dal passato, ma a tratti appare un po’ statica mantenendo le masse del Coro (diretto da Roberto Gabbiani) e i cantanti spesso schierati l’uno accanto all’altro sul palco.
Difficile poi integrare un lungo balletto (Le quattro stagioni, nel terzo atto) all’interno del linguaggio della grand-opéra: la Carrasco e Massimiliano Volpini cercano soprattutto l’evocazione attraverso le numerose figure femminili di bianco vestite che tornano in scena affidandosi più che alla narrazione soprattutto all’evocazione, dettaglio che lascia rumoreggiare il publico.
Grandioso, esattamente come l’opera, il cast con un magnifico Roberto Frontali (già Rigoletto lo scorsi anno), eccellente Guy de Monfort ottimo anche nelle pieghe psicologiche del personaggio, un grande John Osborn perfetto in ogni sfumatura di Henry,
L’ottimo Michele Pertusi è lo spietato Procida, capo dei ribelli, manipolatore pronto a tutto per la causa, brava la giovane Roberta Mantegna-Helene alle prese con una inaugurazione veramente importante.
Allestimento grandioso e di innegabile successo, Les vêpres nasce come opera non particolarmente amata dallo stesso Gatti che ha dichiarato di prediligere la maggiore immediatezza e la dimensione intima delle altre opere verdiane: la sfida, esattamente come per la Carrasco, è stata quella di cogliere lo stesso sforzo dimostrato da Verdi per approcciare questo nuovo tipo di drammaturgia. Una sfida vinta e premiata dal pubblico.