Chiunque abbia avuto modo di trovarsi in Austria o in Germania nel periodo natalizio sa bene che in ogni città è un profluvio di occasioni musicali, dalla sacra all’operetta, dal Neujahrskonzert al balletto. Ad Hamburg sono due i must do almeno una volta nella vita sul finire dell’anno: Lo schiaccianoci alla Staatsoper e il Silvesterkonzert alla Elbphilarmonie.
Il 30 dicembre il sipario si è alzato sulla 321^ replica di Der Nussknacker di Tchaikovsky, spettacolo entrato in repertorio della compagnia stabile di danza dal 27 ottobre 1974. John Neumeier, direttore dell’Hamburg Ballet dal 1973, rilegge il libretto sotto una veste nuova, mantenendo però un linguaggio classico. Non più la vigilia di Natale e il Regno dei dolci, bensì il compleanno di Marie, dodicenne che ambisce a seguire le orme di Louise, la sorella ballerina. È il passaggio dall’età delle bambole all’età dei sogni, quando si fanno sentire prorompenti le prime velleità artistiche e i timidi moti amorosi. Marie riceve lo schiaccianoci in regalo dal giovane capo dei cadetti Günther del quale è invaghita. Al termine della festa, Marie sogna di assistere alle prove dell’Hoftheater e al fastoso divertissement del secondo atto. Svegliata dalla governante, Marie, come l’Alice di Carroll, prende congedo tristemente da quel mondo magico.
L’intenzione di Neumeier, sostenuta efficacemente dai costumi e dalle scene ottocentesche di Jürgen Rose, è omaggiare Marius Petipa adottando coreografie rassicuranti, di sicura presa e al contempo assai impegnative. La centralità del maestro di danza si rispecchia nel dare ampio spazio a Drosselmeier che regala alla festeggiata, fortemente affascinata da lui, un paio di punte rosa. Nel secondo atto, che Rose ambienta nel teatrino con cui Marie è solita giocare, i ballerini sfoggiano le loro migliori qualità tecniche. I numeri si discostano leggermente dall’ordine tradizionale, valorizzando ancor di più la musica di Tchaikovsky e conferendo maggiore coerenza all’azione.
L’Hamburg Ballett si distingue per leggerezza, perfezione ritmica e ottima coordinazione, nel rispetto rigoroso del dettato coreografico. Emilie Mazoń sostituisce l’ammalata Alina Cojocaru nel ruolo della protagonista. La sua Marie, debuttata cinque anni or sono, è ben ritratta nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, agitata da una vitalità particolare e da forte individualità. Eppure, Neumeier sembra pensare questo Schiaccianoci più per Louise, l’impeccabile Anna Laudere, artista in cui vivacità e disciplina convivono nell’esemplarità dei port de bras, degli jeté e nel portamento regale. Tra gli uomini, si distinguono Marc Jubete come Drosselmeier, personaggio severo, ma buffo in alcuni atteggiamenti vezzosi; Christopher Evans, Günther applauditissimo; Florian Pohl, statuario e molto apprezzato assieme a Priscilla Tselikova nella “Danza araba”.
La Philarmonisches Staatsorchester Hamburg è diretta da Simon Hewett che dipinge uno Schiaccianoci di solida impronta classica, in cui le luci calde della scena paiono riflettersi anche nella buca, con sonorità dense e agogiche tutto sommato riuscite.
Il secondo evento ha avuto luogo la mattina del 31 dicembre in un luogo simbolo della città, la Elbphilarmonie. La robusta struttura del magazzino Kaispeicher costruito nel 1966 funge da fondazione al nuovo volume vetrato progettato dagli architetti Herzog & De Meuron. Il complesso rappresenta il simbolo di Hafencity, il nuovo quartiere nato dalla rigenerazione dell’aera portuale. Luogo di attrazione principale è la terrazza panoramica a 37 metri di altezza che si affaccia a 360° sull’Elba. L’auditorium principale, la Großer Saal, si sviluppa tutt’attorno alla buca in modo che ciascuno spettatore non si trovi a più di 30 metri dal direttore d’orchestra. Il progetto acustico è stato ideato dall’ingegnere Yasuhisa Toyota, curatore delle più affermate sale da concerto mondiali, come la Sydney Opera House, la Walt Disney Concert Hall, la Shenzhen Concert Hall e la Copenhagen Koncerthuset.
Il programma pensato per questo stupendo Silvesterkonzert, come spiegato dallo stesso direttore Kent Nagano all’inizio della seconda parte, è tutto incentrato sulla “fuga” che non è solo una forma musicale, ma oggi anche una Weltanschauung diffusa. Fugge il tempo, fuggono i popoli, si fugge dalla quotidianità monotona per rifugiarsi nella bellezza della musica. Le festose canzoni delle Sacrae symphoniae di Giovanni Gabrieli sono eseguite da quattro trombe e tromboni disposti in due gruppi come da tradizione veneziana e per sfruttare la specifica spazialità della Grosser Saal. Ein Engel di Sofia Gubaidulina vede il contralto, l’ottima Nadezhda Karyazina, dialogare dalla platea con il contrabbasso di Stefan Schäfer, posto in alto, tra il pubblico, proprio come fosse esso stesso l’angelo. Non è una scelta frivola, ma dettata dalle parole della stessa compositrice: «Già da bambina sentivo questa unità con le sfere più alte, una sensazione che per me era sempre associata alla percezione del suono, la sostanza vibrante del mondo».
Non poteva mancare la Kunst der Fuge di Bach, proposta nella versione orchestrale del 2002 di Ichiro Nodaïra. Su suggerimento del maestro Nagano, al tempo Cehfdirigent della Deutschen Symphonie-Berlin, Nodaïra ha scelto 12 dei 19 brani che compongono L’arte della fuga e gli ha trascritti per diversi ensemble di strumenti. Contrapunctus I è lo sviluppo di un’idea di Webern, la “Klangfarbenmelodie”. Contrapunctus II è giocato su una monocromia molto scura, grazie ai timbri di viole, violoncelli e contrabbasso, caratterizzata da diversi passaggi d’ottava. Canon alla ottava si allontana da Bach per abbracciare Boulez, ma anche lo Strauss della Tanzsuite.
La Grosse Fuge in si bemolle op. 133 di Beethoven, famosa per l’estrema perizia tecnica e alla sua natura introspettiva, fu scritta tra il 1825 e il 1826, quando la sordità era ormai totale. Essa va oltre il linguaggio dei celebri quartetti, distinguendosi per una contemporaneità al tempo inarrivabile. Cambi di tonalità, dissonanze, contrasti e interruzioni costituiscono un banco di prova non indifferente, affrontato egregiamente dagli archetti di Konradi Seitzer, Bogdan Dumitrescu, Sangyoon Lee e Olivia Jeremias.
Dopo la pausa, di cui si approfitta per ammirare il panorama urbano dalle vetrate della Philarmonie, è la volta di “Ein’ feste Burg ist unser Gott” di Bach nella trascrizione di Leopold Stokowski, eseguita in prima mondiale il 7 aprile 1942. Fedele al dettato bachiano, il tema del corale è intervallato da incursioni a cadenza degli strumenti a fiato, in un mix di umanità e sacralità. Non a caso prelude all’ultimo brano, la Sinfonia n. 5 di Mendelssohn. Detta anche Reformations-Sinfonie, venne pensata per celebrare il terzo centenario della Confessione protestante di Augusta, ma in realtà fu eseguita postuma. Tra le novità vi è il principio ciclico e l’uso nel primo movimento di citazioni dal Magnificat tertii toni e il “Dresdener Amen”, leggero come un soffio, una figura cadenzale luterana ripresa poi anche da Wagner quale tema del Graal nel Parsifal. L’ultimo movimento, che riprende temi del primo e “Ein’ feste Burg ist unser Gott”, spinge l’animo verso le alte sfere, in un crescendo melodico travolgente e speranzoso.
Nagano imprime spirito ed estremo rigore formale alla Philarmonisches Staatsorchester Hamburg che suona senza alcuna sbavatura o perdita di ritmo e si fa apprezzare per la compattezza sonora straordinaria e la perfetta sintonia tra tutte le sezioni,
Solo viaggiando si scopre così che Capodanno si può festeggiare non solo con valzer viennesi e brindisi verdiani, ma anche all’insegna della grande musica tedesca. Buon 2020!