Nel nuovo allestimento di Carmen che Yona Kim e il suo team assemblano per l’Opera di Mannheim l’immaginario esotico di Bizet, che per altro non aveva mai messo piede in Spagna, diventa una grande astrazione bianca con al centro uno scatolone nero che si muove e si trasforma di volta in volta in palcoscenico per l’Habanera, in tribuna della plaza de toros, in un portone chiuso.
In questo spazio che sembra uscito da pittura metafisica (scene di Herbert Murauer) il colore spagnolo è ricreato dalla voce recitante di Lucía Astigarraga e dai costumi colorati e molto accurati di Falk Bauer. L’attrice spagnola, un Lillas Pastia femminile in tacchi alti e look attillati, si aggira sinistra per il palcoscenico per tutto il corso della serata. Alla sua voce sono affidati gran parte dei recitativi, mitragliati a tutta velocità in uno spagnolo duro e stretto, che fanno da tessuto narrativo alla recita.
All’interno di questo grande contenitore, in un ambiente dominato dalla protervia e dalla lascivia maschili (soldati, toreri, preti …), la regista coreana volge l’attenzione della platea verso i rapporti intessuti dal quartetto dei protagonisti, che si attraggono e si respingono, sospesi fra trasporti erotici e sentimenti domestici, fra vita di bohème e mondo borghese. Yona Kim distilla e rimanda con precisione le passioni che muovono la vicenda, fino al tragico finale, supportata in questo dall’ottimo lavoro di recitazione dei cantanti. Uno spettacolo solido che, con una narrazione serrata, restituisce il mélange di desiderio sensuale, rituali sociali e disordine emotivo che innerva l’opera di Bizet.
Non proprio omogenea la distribuzione delle voci dei ruoli principali. Svetta su tutti la Micaela del soprano Eunju Kwon, non la sprovveduta contadinotta a cui siamo abituati, ma una determinata signora in cocktail dress che tiene testa alla Carmen per tutta la durata della recita. Nel terzo atto la vediamo addirittura aggirarsi per il palco con una mannaia. Voce chiarissima e morbida, fluida e sicura negli acuti, la sua aria del terzo atto brilla e commuove per espressività. La Carmen di Jelena Kordic è una vamp alta e statuaria in négligé rosso fuoco e trine nere. Non ci si meraviglia che quel semplicione di Don José le caschi immediatamente ai piedi. Incendiaria anche vocalmente, il mezzosoprano croato dipinge la gitana con timbro potente e brunito. Irakli Kakhidze restituisce gli accenti confusi di Don José, sempre incerto fra il dovere e l’attrazione fatale, con voce potente e drammatica di tenore spinto. Mentre non brilla l’Escamillo di Evez Abdulla, si fanno apprezzare i comprimari.
Nikola Hillebrand (Frasquita) e Mercédès (Martiniana Antonie) fanno da appariscente contorno alla Carmen. Ribaldi e zingareschi Raphael Wittmer nei panni di Remendado e Christopher Diffey in quelli di Dancaïro. Sotto la direzione attenta e misurata di Mark Rohde l’orchestra di Mannheim ricrea il colore delle strade di Siviglia e delle danze gitane, senza il clamore spagnoleggiante che tocca talvolta sopportare. Eccellente il coro.
Grandi applausi per tutti alla fine della serata.
Video https://www.youtube.com/watch?v=WqzQuxepfjw&feature=youtu.be