Il Trittico di Puccini viene proposto dal Tiroler Landestheater nella sua interezza, circostanza non sempre frequente dato che spesso i singoli titoli vengono abbinati a dittico ad altre opere contemporanee. Cosa hanno in comune Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi? La meditatio mortis, con toni che vanno dalla tragedia alla commedia, descrivendo varie psicologie umane. Nel Tabarro c’è il più crudo verismo, in Suor Angelica un misticismo lirico, in Gianni Schicchi, assieme a Tosca il lavoro in cui più si rispecchia l’italianità pucciniana, la morte diventa una beffa.
Il regista Carlos Wagner fa dell’acqua e dei bambini il filo che lega i tre atti unici, ambientati in imprecisati anni Venti come indicano i costumi disegnati dallo stesso Wagner. L’elemento liquido è la Senna, la fontana claustrale e l’Arno. Il figlio annegato di Giorgetta, quello morto di Angelica e l’adolescente Rinuccio, unico vivo in un mondo di “morti” dell’anima, ci ricordano tre maternità (an)negate. Vanno interpretate in questo senso le proiezioni sui tre velari dalla forte resa cinematografica. In Suor Angelica la Zia principessa assume connotati diversi dalla tradizione se, in un elegante abito viola da amazzone, pare sincera in quel «tutto fu fatto per salvarlo», quasi colta per un attimo da pietà verso la religiosa, ma riportata a pose più severe da un tacito accordo tra lei e la Badessa. Il figlio defunto compare mentre Angelica canta “Senza mamma”, aiutandola a innaffiare le erbe con cui si darà la morte: così facendo viene meno la trasfigurazione del finale (in questa edizione privata delle voci maschili del coro) che è invece il momento centrale di tutto il Trittico. In Schicchi il notaio Amantio smaschera la beffa, ma i moncherini non sono affar suo.
Le scene di Christophe Ouvrard prevedono grandi spazi vuoti dove gli ambienti sono evocati da alcuni dettagli e dalle luci suggestive di Florian Weisleitner. In Tabarro vediamo solo la ringhiera della scala che scende in coperta e sullo sfondo alti alberi di barche che sembrano tante croci. Il chiostro del convento sembra più una prigione, luogo di dure punizioni per le sventurate novizie, circondato da tre muri con tanto di filo spinato e fornito di celle chiuse da inferriate. Buoso Donati giace sul letto di uno stanzone enorme a cui si accede da una scala sulla sinistra e un praticabile in alto lascia intravede il profilo di Firenze.
Seokwon Hong è alla guida della Tiroler Symphonieorchester. Se nel Tabarro ricrea efficacemente l’atmosfera brumosa della Senna, manca tuttavia di sufficiente lirismo in Suor Angelica, dove il direttore non sembra cogliere le sfumature più insidiose della partitura. Gianni Schicchi richiede notevoli capacità nel tenere unita la pletora dei parenti e la tracotanza del protagonista e Hong vi riesce con sapiente equilibrio.
Tra i ruoli maschili si distinguono due artisti ospiti, Daniel Luis de Vicente e Alejandro Roy. Il primo è un Michele perentorio, descritto in tutta la sua rassegnazione al tradimento, grazie a una voce dal bel timbro scuro, e un vivace, ma mai soverchiante Schicchi, padrone di una linea di canto sicura e modellata all’uopo con gusto e abilità. Alejandro Roy è Luigi sensuale, assai virile nell’emissione, più a suo agio nei centri.
Barno Ismatullaeva, giovane soprano uzbeko, si distingue con la sua Angelica generosa, dalla voce capace di piegarsi senza esitazioni ai turbamenti della povera suora. Lo stesso dicasi di Tatiana Rasa, che ascoltammo anni fa in Les Contes d’Hoffmann, che si fa apprezzare non tanto per Genovieffa, ma più per la spensierata Lauretta che con la sua perfetta “O mio babbino caro” conquista l’applauso scrosciante della sala.
Anna-Maria Dur, un’ottima Cieca in Gioconda, soffre di una pessima dizione e di una voce ormai prevalentemente di petto. Scenicamente ancora dotata di piglio deciso sia nelle gramaglie della Zia principessa che nella stravagante Zita, dimostra qualche evidente cesura nella linea di canto e scarsa contezza del testo.
Anna-Maria Kalesidis ha ben appreso il peso del personaggio di Giorgetta, a cui infonde tutta la più possibile irrequietezza, ma palesa anch’essa difetti di dizione che impediscono una chiara comprensione del cantato. In Gianni Schicchi è Nella dolente e divertente nella sua sconsolatezza.
Chiamato a sostituire il malato Jon Jurgens, Gustavo Quaresma è Rinuccio da premiare per forza di volontà, ma dalla voce non troppo prosperosa.
Si distinguono, tra gli altri artisti della compagnia stabile, Alec Avedissian (Marco), Camilla Lehmeier (suora zelatrice; Ciesca) e Unnsteinn Árnason (Amantio).
Puntuale nei suoi interventi il Chor des Tiroler Landestheaters diretto da Michel Roberge.
Menzione d’onore a Andrea De Majo, danzatore del TLT, che per tutto il terzo atto si presta a dare corpo a Buoso Donati, nella non facile finzione del rigor mortis.
Applausi soddisfatti per tutti alla recita del 24 gennaio. Ultime repliche il 20 febbraio, il 6 e il 25 marzo.