Attore, regista, fondatore della compagnia teatrale Giù di Su per Giù, ma soprattutto tra gli autori italiani più promettenti di letteratura per l’infanzia. Giorgio Volpe, trent’anni, romano (anche se nato in Germania), è una personalità poliedrica, con una forte tensione alla ricerca personale e alla sperimentazione artistica. Il suo ultimo albo illustrato “Il senso che ho di me”, pubblicato dalle Edizioni Il Ciliegio, è appena arrivato nelle librerie, e tratta con delicatezza il tema non facile degli stereotipi di genere. Per Teatrionline lo abbiamo intervistato, cercando di conoscerne i riferimenti letterari, il mondo poetico, le intenzioni educative.
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Teatrionline. Come nasce questa tua passione? C’è stata una molla scatenante, un’occasione particolare?
Volpe. Nasce dalla redazione della tesi triennale, che è stata per me la prima vera e impegnativa prova di scrittura. Ad alimentare poi il “seme della scrittura” è stato il desiderio di voler creare uno spettacolo di teatro-ragazzi. Desiderio che nel 2014 ha portato alla nascita di Martina & Nocciolino (il primo spettacolo della nostra compagnia), diventato poi un libro di narrativa nel 2019 (per Apollo Edizioni). Perché la letteratura per l’infanzia? Sicuramente per il mio naturale interesse per la magia (come maghi, fate, folletti), ma anche perché, da piccolo, non ho avuto un’infanzia circondata da libri. Diciamo che non sono stato “educato” alla lettura in età infantile, il tutto è avvenuto con un certo “ritardo” – per quanto sono convinto che non ci sia un’età prestabilita. Oggi, se così si può dire, mi dedico a questo meraviglioso universo per recuperare anche quel “ritardo”.
Teatrionline. La narrativa per l’infanzia è ormai pienamente riconosciuta come una forma “alta” di letteratura. Quali sono le accortezze che bisogna avere scrivendo per i bambini?
Volpe. I libri per l’infanzia sono per tutti, ci sono autori che non hanno nulla da invidiare a quelli che scrivono per “adulti”. Ai bambini si può parlare di tutto, non vanno mai trattati come esseri non-pensanti o, peggio ancora, come esseri cui le cose, quelle scritte, come in questo caso, debbano essere facilitate affinché le possano comprendere. La cosa difficile è trovare il modo per parlare di quel “tutto”, suscitando nel bambino la curiosità. A me piace molto parlare ai bambini come faccio con gli adulti, ovviamente nel limite del possibile. Questo perché ritengo stimoli molto il loro desiderio di conoscere. Magari mi sbaglio, non avendo una formazione pedagogica, ma con il teatro funziona molto.
Teatrionline. In ogni opera per l’infanzia c’è sicuramente anche un intento educativo. Ma quanto è davvero importante per te? Cosa intendi veramente trasmettere con le tue storie?
Volpe. Quando il racconto che sto per scrivere non nasce da appunti sparsi e presi a distanza di tempo l’uno dagli altri, la prima cosa che faccio è domandarmi: cosa voglio dire? Se invece il racconto nasce dagli appunti “sparsi” che in qualche modo si uniscono come per magia, allora la domanda me la pongo successivamente o non me la pongo proprio. Nei miei racconti, più che un intento educativo, c’è un invito a cambiare punto di vista sulla visione di un tema, che può essere l’importanza della pioggia o alla più “gettonata” amicizia. Fare acquisire nuovi punti di vista, o comunque stimolare l’interesse andando verso quella direzione, cercando di non essere mai banale in quello che scrivo, ecco, questa è la mia missione.
Teatrionline. Quali sono le letture o gli autori (anche per adulti, ovviamente) che ritieni importanti per la tua formazione? E quali sono invece le letture di oggi? Quale libro hai adesso sul tuo comodino?
Volpe. Éric-Emmanuel Schmitt, David Trueba, questi i primi che mi vengono in mente. Come per il teatro, il cinema o la musica, non ho un preferito assoluto – forse solo nell’arte figurativa posso dire di averne uno: Van Gogh. Ogni creazione artistica mi lascia qualcosa che poi indirettamente, inconsciamente, condiziona quello che scrivo. Oggi leggo molta narrativa per ragazzi e albi illustrati. Cosa ho sul comodino? Due libri: Scrivere la vita, che riguarda la vita di Van Gogh, e Incontri con autori ed opere di letteratura per l’infanzia di Galante Garrone.
Teatrionline. Sei anche autore teatrale, attore e fondatore della compagnia Giù di Su per Giù. In che modo teatro e letteratura per l’infanzia sono per te collegati?
Volpe. Quando scrivo narrativa o racconti brevi per albi illustrati tutti i miei personaggi hanno un nome – anche se nel racconto non appare. In questo caso tutti i miei personaggi letterari li vedo come personaggi teatrali. Non a caso nei miei racconti non manca mai il discorso diretto, ogni personaggio ha almeno una “battuta”. Se non dessi loro il discorso diretto è come se li lasciassi muti, come se fossero assenti, ma venissero solo citati. Quando invece scrivo per il teatro tutti i miei personaggi hanno dietro quel bagaglio di narrativa che sul copione non appare, ma che poi viene fuori durante l’allestimento nella costruzione del personaggio. Oltre a Martina & Nocciolino, che nasce come spettacolo per poi diventare libro, anche Anfotero (Rapsodia Edizioni, 2019) ha seguito lo stesso iter e spero presto anche Cercasi Befana (2020), che ho già adattato in “formato” narrativa e albo illustrato. Inoltre, ho adattato anche L’Emozionometro dell’Ispettore Drillo di Susanna Isern (NubeOcho Edizioni, 2017) per la scena e conto di fare lo stesso con Prima di dormire (Kite Edizioni, 2019). Direi che sono molto collegati questi due affascinanti linguaggi.
Teatrionline. Tu fai spesso presentazioni dei tuoi libri in giro per l’Italia. Come ti sembrano i bambini di oggi? E trovi differenze ripensando a quando tu eri bambino?
Volpe. I bambini di oggi sono meravigliosi (ma forse lo erano anche quelli di ieri). Ascoltano attentamente, con tanto interesse e partecipano molto alle chiacchierate che si tengono dopo la lettura, prima del laboratorio creativo. L’unica differenza rispetto a ieri, è che oggi c’è sicuramente, e paradossalmente, una maggiore educazione alla lettura o comunque al contatto con il libro – trattandosi spesso di una fascia d’età che va dai tre ai sette anni, dove molti di loro ancora non legge. Educazione, ahimè, che viene messa sempre più da parte col crescere.
Teatrionline. “E se il cielo non piovesse?” (Edizioni Il Ciliegio, 2019) è stata la tua prima pubblicazione. Un racconto poetico, che sembra rispondere (come appunto recita il titolo) a una delle domande “impossibili” che pongono i bambini. Da dove nasce l’idea?
Volpe. “E se il cielo non piovesse?” è gioia. È stato l’inizio di questo prezioso e incantevole viaggio, grazie a Paolo Proietti (amico e illustratore di questo e di altri miei racconti) che mi ha voluto a bordo. L’idea è nata nel 2016. Mi trovavo sul 64 a piazza della Repubblica, a Roma. Era una giornata uggiosa. Mentre l’autobus girava intorno alla fontana delle Naiadi mi son detto: voglio scrivere un racconto che valorizzi la pioggia. Ho preso degli appunti. Inizialmente voleva essere un racconto sui vari stadi della materia, poi, nel 2018, è diventato quello che conoscete. Ne sono molto soddisfatto.
Teatrionline. Nel volumetto ci sono alcune immagini irresistibili, come il sole e la pioggia che giocano a nascondino o l’arcobaleno che “è il regalo che ci fa il cielo dopo aver piovuto la pioggia”. Sono forse immagini della tua infanzia? Come ti sono venute alla mente?
Volpe. Attingo molto ai miei ricordi d’infanzia. Ricordo degli episodi come se si fossero svolti ieri. Un’immagine del libro legata alla mia infanzia, ad esempio, è quella dove si dice “e mentre il cielo piove… il sole dove splende?”. Ricordo che da piccolo per me, prima che mi venisse spiegato come funzionasse, era un gran mistero. Molte delle immagini “irresistibili” – come le hai definite – sono frutto dell’estro creativo di Paolo, il quale riesce sempre a elevare i miei testi: mi ritengo di essere molto fortunato ad averlo come stretto collaboratore.
Teatrionline. Nell’albo illustrato “Il senso che ho di me” affronti il tema degli stereotipi di genere, raccontando la storia di un bambino che pratica giochi o adotta comportamenti che tradizionalmente sono attribuiti alle “femminucce”. Trovi che questa rigidità sessista sia ancora molto presente nella società italiana?
Volpe. Sì, ahimè, lo è. In percentuali diverse da Sud a Nord, con una maggiore intensificazione nelle realtà più piccole, come ad esempio nei paesini.
Teatrionline. In questa tua ultima opera affronti il tema dell’identità di genere con grande naturalezza. Qual è il modo più giusto per parlarne ai bambini?
Volpe. È bene precisare che l’identità di genere è il senso che ognuno ha di sé, è la consapevolezza interiore e radicata del genere con cui una persona si identifica, e non va confusa con l’orientamento sessuale, che invece riguarda l’attrazione emozionale, romantica, sessuale, di una persona verso individui dello stesso sesso, di sesso opposto o di entrambi i sessi. Venendo alla domanda, ritengo che il modo giusto per parlarne ai bambini è parlarne. Non parlarne significa attribuire a quell’argomento (consapevolmente o meno), in questo caso all’identità di genere, un’accezione negativa. Parlarne ai bambini come quando gli si parla di un quadro o di come cresce un frutto, perché il bambino non dirà mai “quello non si fa” se non è stato il genitore, prima di lui, a decidere che quella determinata cosa o azione non si deve fare.