In questa poesia, Giovanni Luca Valea presenta la volontà di cantare come un lungo viaggio. Il canto del poeta deve essere umile, benedetto dagli dèi, libero. Soprattutto, è necessario che ogni momento tenda verso la Parola, innalzata qui a motivo divino. Di particolare rilievo l’importanza della modestia, che deve rivelarsi capace di trattenere il poeta: “Sappi che occorrerà una ferrea virtù / se il tuo cuore /si piegherà alla tentazione, /se penserai di pareggiare le stelle.”
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Se vorrai cantare
dovrai avere fede nella luce,
ché va oltre il filo spinato;
nel tempo, che riposa e fugge.
Non temere tuttavia l’oscurità,
non chiedere alla tua voce
fatica e lavoro: risparmiala dal freddo,
fai altrettanto con la tua anima.
Soprattutto non credere mai
ad una quiete sterile – non esiste –
preoccupati appena dell’altezza,
della fermezza del cuore:
soltanto così potrai tenere lontano
il silenzio, la derisione.
Devi rivolgere ogni supplica agli dèi
perché ti rendano arduo il verso,
incerti gli accordi, zoppa la melodia.
Che non ti concedano oro alla sera,
quando esausto – felice – verrai a capo
di una nuova meraviglia.
Temi
fortuna e gloria sopra ogni cosa:
sappi che occorrerà una ferrea virtù
se il tuo cuore
si piegherà alla tentazione,
se penserai di pareggiare le stelle.
Nel chiacchiericcio della folla mortale
indugia, porgi la mano,
la guancia già offesa,
sii umile quando dovrai apprendere,
mercanteggia, tratta nobilmente,
sperpera se, quel giorno, lo meriti.
Dovrai desiderare ogni istante il canto:
mentre fissi il tuo profilo
che muore negli anni,
mentre dal mare
giungono brezza o sentenze.
E la canzone, infine, non sarà mai
l’ultima, né la migliore.
Quanti giorni, oltre l’orizzonte,
quanto amore, ti spettano.
Giovanni Luca Valea