‘Note’ dall’isolamento – Conversazioni di Musica è un progetto che prevede sette incontri con giovani professionalità artistiche e musicali per scoprire cosa vi sia dietro all’essere musicista e i cambiamenti prima e dopo CoViD19.
In questo terzo incontro, protagonista è il professore d’orchestra. Cercheremo di scoprire il mondo orchestrale e di indagare cosa siano stati questi giorni di isolamento per questo mestiere, confrontando l’esperienza di un orchestrale stabile con quella di uno freelance.
Si inizia con l’intervista a Alessandro Cappelletto, primo dei secondi violini al Teatro La Fenice di Venezia, cui seguirà Francesco Albertini, fagottista freelance.
La diretta originale è visibile sulla pagina di Carlo Emilio Tortarolo (Facebook&Instagram: @carloetortarolo).
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Buongiorno Alessandro, prendiamo alla larga il discorso sull’orchestra e sui professori d’orchestra. Cosa è necessario per diventare un professore d’orchestra e qual è l’iter per diventare un professore d’orchestra stabile?
Per diventare professore d’orchestra è ovviamente necessario suonare uno strumento: ciò si traduce in studiare, diplomarsi e continuare sempre a studiare.
Il lavoro in orchestra prevede, generalmente, il superamento o di audizioni che sono bandite da teatri/orchestre in base alle necessità ad esempio di organici orchestrali particolarmente ampi o con strumenti non comuni, oppure in presenza di un posto vacante nel complesso orchestrale attraverso un bando di concorso. Un concorso pratico, quindi esclusivamente strumentale, in cui in varie prove viene richiesto uno specifico repertorio – comprendente concerti solistici ed estratti dal repertorio sinfonico o lirico – da presentare a una commissione giudicatrice.
Una volta vinto questo concorso è possibile firmare un contratto indeterminato.
Un repertorio specifico, varie prove da superare. Sembrerebbe che quindi l’esperienza abbia un ruolo rilevante nei concorsi. Nonostante la giovane età e prima del concorso al Teatro La Fenice, quali esperienze avevi avuto?
Sono stato abituato a suonare in orchestra fin dalle prime esperienze quindi per me suonarvi è naturale e anche a livello professionistico ho iniziato molto giovane.
Nell’estate tra la quarta e la quinta liceo, partecipai ad una audizione al Teatro alla Scala per professori d’orchestra aggiunti. Soddisfatto il requisito del diploma, che avevo già ottenuto, decisi di mettermi alla prova per vedere se il mio percorso fino a quel momento era corretto.
Andò così bene che venni convocato per suonare in orchestra all’inaugurazione della Stagione del 2010 con la “Valchiria” di Richard Wagner diretta da Daniel Barenboim.
Difficile dire di no ad una proposta del genere e fortunatamente la scuola e i professori mi vennero incontro, permettendomi così di passare un mese a Milano e vivere quella esperienza.
L’anno successivo, poi, uscì, sempre al Teatro alla Scala, un concorso per concertino dei primi violini. Lì arrivai alla semifinale, ma ciò mi permise comunque di essere convocato dalla Filarmonica della Scala con cui completai la stagione sinfonica di quell’anno.
E come si svolgono queste audizioni?
Spesso per questo tipo di audizioni sono richieste più giornate, tutte molto impegnative sotto il profilo psicologico data la posta in palio.
Partendo da una convocazione per un giorno specifico, in una sede apposita vengono raggruppati tutti i candidati. Dopo un appello e un ordine di convocazione, ogni musicista si esibisce nel corso della giornata in un lasso di tempo preciso cercando di dimostrare di essere preparato quanto serve per quel posto.
Si intuisce quindi la tensione che si può provare dato che è necessario essere pronti a dare il massimo in quel limitato tempo a disposizione.
Lungo le giornate, poi, possono esserci più prove come eliminatorie, semifinale e finale.
Una selezione, quindi, dura per la quale è necessaria un’ottima preparazione dato che il livello generale dei candidati è molto alto.
Pensando alle tue esperienze all’estero, come funzionano, invece, queste selezioni?
Ho avuto la possibilità di prendere parte all’orchestra del Covent Garden di Londra e lì il metodo di valutazione è completamente diverso o meglio la base di partenza attraverso una audizione rimane identica. Non ne esce però un vincitore, ma una lista di idonei meritevoli che vengono invitati a suonare per alcuni periodi direttamente in orchestra.
Alla fine vengono valutate non solo l’abilità come strumentista, ma anche il carattere e la capacità di ambientamento, qualcosa che nei dieci minuti delle audizioni italiane non è possibile assolutamente valutare.
Già con l’acqua alta straordinaria dello scorso autunno il Teatro La Fenice aveva rischiato di dover subire una sospensione del cartellone, sospensione che inevitabilmente è arrivata a fine febbraio per l’emergenza nazionale. Puoi raccontarci quelle settimane di incertezza e quali appuntamenti, poi, sono saltati in questi mesi di isolamento?
Questa sospensione è stata nello stesso tempo prevedibile e improvvisa.
Dopo l’ultima recita di “Elisir d’Amore” a Carnevale, già nel camerino dei professori d’orchestra si parlava dei primi contagi in Italia e, nei giorni successivi, nell’incertezza generale la situazione è precipitata abbastanza velocemente tanto che non metto piede in Teatro da quel giorno.
All’inizio non si erano comprese né la gravità né la durata di questa situazione anche perché si andava avanti di ordinanza in ordinanza e si sperava di rientrare in breve tempo.
Per dare l’idea di cosa fosse in cantiere in questi mesi sono saltati tre concerti sinfonici, tra cui la Terza Sinfonia di Gustav Mahler diretta da Myung Whun Chung, oltra a svariate opere in cartellone. Un calendario di impegni molto intenso.
Parliamo ora della tanto agognata ripresa degli eventi artistici. Ci sarà secondo la tua opinione e se sì, come potrà il pubblico goderne?
Un argomento sicuramente complesso.
Personalmente spero con un po’ di ottimismo che questa sia solo una fase e che sarà possibile riprendere ciò che facevamo pur con le necessarie misure di sicurezza.
Il Teatro è una macchina complessa formata da centinaia di ingranaggi che lavorano a stretto contatto. Strettissimo, se si pensa allo spazio della buca d’orchestra ad esempio.
E oltre ai professori d’orchestra ci sono molti professionisti come gli artisti del coro, i tecnici e gli impiegati. Tutti in spazi ridotti in cui il distanziamento sociale non è possibile.
Come dicevo, spero che tutto torni come a fine febbraio perché l’Opera è una serie di emozioni difficili da descrivere. Posso raccontarti dell’emozione che mi assale ogni qual volta entro in buca e guardando il soffitto della Fenice, penso “che bellissimo cielo”.
Un pensiero spontaneo che anche il pubblico probabilmente condivide con me.
Allo stesso modo servirebbe capire le emozioni che noi proviamo entrando in palcoscenico e sentendo l’odore del legno e delle corde.
Se al momento è necessario cercare forme di spettacolo alternative, rimango dell’idea che sarà necessario ritornare a vivere quelle emozioni.
Nel frattempo ci adattiamo perché la sicurezza nostra e del pubblico è fondamentale.
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Buongiorno Francesco, vorrei sapere anche da te cosa ritieni sia necessario per diventare un professore d’orchestra e quali ritieni siano le differenze principali fra stabile e freelance?
Sicuramente come ha detto Alessandro, il primo passo è quello di suonare uno strumento che ad esempio nei primi anni è possibile sia diverso da quello che poi suonerai durante la carriera. Molti fagottisti, me compreso, hanno iniziato con altri strumenti per poi innamorarsi del fagotto solo successivamente. Da una semplice passione questo strumento, poi, diventa una ragione di lavoro e di vita.
Partendo dal diploma o laurea, ora che esistono i nuovi ordinamenti, è necessario vincere un concorso per diventare professore d’orchestra stabile.
Personalmente non ne ho mai affrontati (di concorsi, ndr) anche per una questione prettamente numerica, i posti per gli strumenti a fiato sono sensibilmente di meno rispetto a quelli per arco e spesso in città molto lontane. Utilizzo questi anni di esperienza nelle orchestre per cui suono per prepararmi a cui parteciperò nel prossimo futuro.
Per tornare alla tua domanda, la prima differenza, quella basilare, fra stabile e freelance è la situazione contrattuale. Essere stabile vuol dire un lavoro e uno stipendio fissi, concetto che ovviamente manca al freelance.
L’altra grande differenza è dal punto di vista musicale: la possibilità di suonare ogni giorno con gli stessi colleghi (sia in una sezione o in una fila orchestrale) pur affrontando programmi diversi permette la creazione di un’amalgama sonora personale, lavorando su alcuni aspetti specifici come suono e intonazione.
Il musicista freelance, invece, si trova a suonare in orchestre nuove o anche se ha un lavoro continuativo in una stessa orchestra, può non trovare gli stessi colleghi ogni volta rendendo più difficile questo tipo di adattamento.
Partendo da questa sensazione di incertezza che governa l’essere freelance, potresti spiegare come vengono chiamati i professori d’orchestra aggiunti? Usualmente come si può entrare nelle liste di chiamata di un’orchestra?
Nel caso di orchestre stabili generalmente vengono previste audizioni conoscitive che come dice il nome permettono di farti conoscere. Viene creata una lista di idonei da cui l’orchestra attinge nel momento del bisogno per integrare l’organico.
Nel caso delle orchestre che possiamo definire freelance (senza posti fissi, ndr) ci possono essere più metodi di convocazione. Ci sono anche in questo caso audizioni conoscitive – dal vivo ma anche online se è necessaria una prima scrematura dei candidati – ma indubbiamente grande importanza ha l’essere conosciuto come professionista.
Si può iniziare, per esempio, perché il tuo insegnante di strumento ti porta con sé per farti fare esperienza o perché ti ha suggerito a qualche orchestra come musicista, ancora può avvenire attraverso un giro di conoscenze. Infine non da poco sono le chiamate all’ultimo per una sostituzione improvvisa.
In tutto questo vige ovviamente la regola che il nome rimane nelle liste di convocazione se si sono trovati bene con te come musicista e come persona.
Oltre a essere fagottista sei anche controfagottista, uno strumento della stessa famiglia seppur più ingombrante e dal suono più grave. Il polistrumentismo aiuta nelle convocazioni o è un freno?
Avere e suonare un secondo strumento è sicuramente d’aiuto.
Si parla di “secondo strumento” o strumento speciale quando si fa riferimento ad uno strumento non principale, ma che fa parte della stessa famiglia come l’ottavino per il flauto, il corno inglese per l’oboe e via discorrendo.
Per il fagotto il congiunto più vicino è il controfagotto, uno strumento più ingombrante – soprattutto da portare in giro! – ma trattandosi di una voce particolare dell’orchestra che alcuni compositori hanno preferito avere nelle proprie composizioni sicuramente aiuta nell’essere convocati da un’orchestra.
Salvo grandi istituzioni, il controfagotto non è previsto in organico. Il possedere lo strumento e/o saperlo suonare, sia che si parli di convocazione sia che si parli di noleggio ad un collega, è un incentivo.
Cosa ha significato per un freelance come te fermarsi in questi mesi? Che impegni avevi in agenda?
Ho ancora scolpito nella memoria il giorno esatto in cui hanno iniziato a saltare le produzioni. Era il 23 febbraio scorso e dal bresciano dove vivo sono andato a Novara per una produzione al Teatro Coccia. La prova è iniziata normalmente ma alla prima pausa, quindi parliamo di un paio d’ore dopo, è arrivata la comunicazione che dovevamo sospendere l’attività per questioni di sicurezza.
La sensazione è stata molto strana perché a nessuno dei presenti era mai successo qualcosa di simile. Da quel giorno in poi sono saltate tutte quelle produzioni che rientravano nei periodi dei decreti legge.
Abitando nel lombardo, ho la fortuna di collaborare con molte realtà orchestrali del territorio, come l’Orchestra Verdi di Milano, la Filarmonica del Festival Pianistico di Brescia e Bergamo, l’Orchestra Vivaldi per citarne alcune e per ognuna di essere qualcosa è stato sospeso. Così io, così tutti i musicisti italiani e di conseguenza tante produzioni sul territorio nazionale.
Avevo in programma produzioni operistiche con l’Orchestra Filarmonica Italiana e con l’Ensemble Testori, produzioni sinfoniche con la Filarmonica del Festival e con l’Orchestra Vivaldi e anche alcuni concerti fuori regione come a Roma e ad Assisi.
Ecco dicendo questo, mi viene in mente un’altra differenza fra stabile e freelance: il professore d’orchestra stabile ha un teatro o una città di riferimento mentre il freelance deve poter girare il più possibile. Fortunatamente a me piace viaggiare e spostarmi.
Come per le orchestre, così la tua programmazione parte mesi prima dell’effettiva data d’impegno. Ora, saltato ogni schema, questo problema non è solo nel ‘qui e ora’, ma anche nei prossimi mesi, privi di appuntamenti previsti. Quante giornate hai perso e fino a quando avevi impegni fissati?
Facciamo un po’ di calcoli.
Dal primo giorno di sospensione, quel 23 febbraio, ho perso 37 giorni di lavoro (su 62 giornate, ndr) mentre se allunghiamo all’ultimo concerto che so già essere saltato, il 17 maggio, saliamo a circa 50 giornate perse (su 86 giornate, ndr).
Chiaramente è una questione economica perché non si vive di sola fama ed è così per tutti i lavoratori in questo periodo.
Ho ancora dei concerti fissati dopo quella data, ma per sapere se ci saranno devo aspettare cosa accadrà.
Pensiamo al futuro. Come sarà questa ripresa soprattutto per un freelance?
Per un lavoro come il nostro, caratterizzato dalla passione e dal lavorare insieme per lo meno nella musica dal vivo, è difficile pensare a soluzioni diverse da com’era.
Non riesco ad immaginare un concerto sinfonico con i professori d’orchestra a distanza di un metro e ancora di più se penso ad un pubblico distanziato.
La bellezza di suonare per un pubblico numeroso non è spiegabile.
Quindi se anche l’aspettativa non è delle migliori, bisogna pensare positivo.
Le prime realtà che riprenderanno, chissà quando, saranno i teatri e di conseguenza le orchestre stabili prima di quelle freelance.
Anche in questo caso, il professionista stabile, a differenza nostra, sa che prima o poi riprenderà.
Non abbiamo risposte per il futuro, entrambe le categorie condividono uno dei lavori più belli al mondo: aspetteremo e speriamo in un graduale avvicinamento alla normalità per noi e per tutti i lavoratori come noi in questa situazione.