Waiting for è il frutto dell’incontro tra una compagnia teatrale, la Malament’Espress, e un presidio di Libera, quello di Sesto Fiorentino (FI). Uno spettacolo sulla corruzione, scritto, interpretato e diretto da due giovani attrici fiorentine, Sofia Busia e Rebecca Benedettini. Con loro sul palco anche Duccio Mazzocchi, alle luci e ai suoni Lapo Caselli, prezioso aiuto regia Valentina Brancale.
Oggi, 23 maggio, è la giornata nazionale della legalità e Waiting for avrebbe dovuto andare in scena in questi giorni per parlare di mafia con un nuovo linguaggio, allo stesso tempo distaccato e diretto, talmente quotidiano da intimorire.
In attesa di godercelo sul palcoscenico, abbiamo fatto due chiacchiere con le protagoniste.
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Come nasce lo spettacolo?
Nell’estate 2019 il presidio Libera “Silvia Ruotolo” di Sesto Fiorentino ci comunica la volontà di dare vita a un evento, per il settembre successivo, il cui tema fosse la corruzione, proponendoci la presentazione di uno spettacolo che portasse alla luce la tematica. Ci siamo guardate negli occhi per molte sere, prima di partorire quello che poi è diventato Waiting for. La corruzione ci sembrava, e lo è, un tema così vasto, che non sapevamo bene da che parte cominciare. La prima idea era stata quella di parlare della mafia, come tutti noi la conosciamo: boss e criminali. È seguita, da parte nostra, una ricerca di testi, uno studio della documentazione sull’argomento, che è così importante e delicato da richiedere una conoscenza precisa. Ma poi ci siamo focalizzate più a fondo sulla parola “corruzione”, rendendoci conto che non c’era bisogno di andare a cercare tanto in là, in quei mondi appartenenti alla mafia già narrati in molti modi: la corruzione, purtroppo, è molto più vicina a noi di quanto ci vogliamo raccontare, nella quotidianità di ognuno, nel lavoro, negli “aiuti” chiesti ad un amico un po’ più potente di noi. Ci siamo accorte che è un qualcosa di così assimilato nell’esperienza di ognuno, che è diventato invisibile e spesso viene chiamato con altri nomi: “favori”, “possibilità”, “occasione”. Quanto ce ne accorgiamo? Quanto la recriminiamo agli altri ma la legittimiamo a noi stessi? È di questo che abbiamo voluto parlare.
Si può portare in scena la mafia senza far parlare i mafiosi?
Il testo porta alla luce il punto di vista delle mogli di due uomini d’affari, coinvolti in prima persona nella corruzione. In scena, quindi, non vediamo i diretti interessati, bensì le rispettive compagne.
Questa decisione è prima di tutto dovuta all’esigenza: eravamo due attrici. Ma, come spesso accade, dalla necessità è nata la virtù. Come già detto, non importa andare tanto lontani per parlare di corruzione e anche di quella nuova mafia dei giorni nostri, meno apparente, ma sempre presente, nei piani alti della società, che non fa esplodere bombe, ma gestisce e manipola affari. Noi abbiamo voluto parlare della mentalità e dell’atteggiamento mafioso che denota chi cede alla corruzione. Sono nate così Alba e Rosy, due amiche tanto diverse – la prima eccentrica e molto sola, la seconda una tipica donna di casa, madre e moglie devota – unite però da un’accettazione passiva di una vita disonesta. Facendo parlare le due donne, apparentemente fuori dagli affari, abbiamo voluto far riflettere su come questo modo di vivere può coinvolgere chiunque, anche nelle piccole scelte di vita e soprattutto nella mentalità. Volevamo che il pubblico si immedesimasse in due persone comuni, la cui responsabilità non è nelle decisioni pratiche, ma nell’adesione a una certa scelta di vita.
Quanto è troppo più comodo accettare un sistema già corrotto, che risponde alla legge della “furbizia”? Quanto è difficile o inutile cedere? Quanto distaccarsene?
Io, pubblico, mi comporterei diversamente dalle protagoniste della storia?
Queste sono le domande che vogliamo si pongano gli spettatori.
Perché Malament’Espress?
Trovare un nome per il nostro progetto non è stato semplice, come non lo è mai stato trovare un titolo adatto agli spettacoli. Un nome che racchiudesse al contempo storie ben diverse tra loro, ma che avevano dei punti in comune.
Era il 2017, in un bar di Piazza della Passera a Firenze ci venne in mente questo nome a primo impatto strampalato, di odore balcanico e magari di difficile riproducibilità.
L’idea venne a Rebecca Benedettini e Valentina Brancale, ma descrive pienamente la situazione interiore di ogni altro membro della compagnia: tutti noi quattro fondatori, Rebecca, Valentina, Sofia e Lapo, abbiamo in comune dei trascorsi teatrali burrascosi, dove nessuno ci ha dato la possibilità di esprimerci totalmente. Dai primi ai più recenti maestri nessuno ha mai mostrato l’interesse di investire davvero su di noi. Da qui la difficoltà di espressione, di essere noi stessi, autentici in scena.
Nessuno doveva più dirci quando valevamo. Nessuno doveva darci il permesso di fare arte teatrale. Siamo “Malamente Espressi” perché, anche se male – o forse solo fuori da schemi prestabiliti – noi vogliamo esprimerci. Nonostante gli ostacoli, ci dilettiamo nell’arte scenica a tutto tondo, mescolando interpretazione, drammaturgia, regia, scenografia per renderle nostre.
E così, liberamente ci esprimiamo su un treno, “Espress” che, sì, malamente forse, umilmente e con difficoltà, ma corre veloce. La nostra creatività è un treno in corsa che nessuno ha il diritto di arrestare.
L’obiettivo della nostra compagnia è lavorare sulla cooperazione dietro le quinte, per portare sulla scena il lato nascosto di ogni aspetto della quotidianità, dal più apparentemente insignificante al più assurdo e manifesto. E crediamo sia fondamentale usare un linguaggio che non abbia niente di moralistico, ma che anzi sfrutti il grottesco, perfino il black humor, con una netta critica all’ipocrisia diffusa.
L’allestimento di Waiting for è molto particolare. Come avete scelto scenografia e musica?
Malament’Espress ha un dialogo costante con gli spettatori: in Waiting for il pubblico è parte della scena, è protagonista. Lo spettacolo è ambientato in una chiesa gotica, di quelle ormai lasciate a loro stesse, alla corruzione del tempo, che solo in lontananza risente di quella tradizione e splendore lontani; il prete, Don Michele, è posto alle spalle del pubblico, che così è al centro della scena. Entrando in teatro, si vede il sipario aperto, il rosone colorato imperante e una solinga panca di legno sul palco. Le luci del rosone invadono le poltrone della platea. Dietro, immobile come una statua, il prete presenzia al corteo d’ingresso del pubblico in chiesa.
Abbiamo scelto una musica balcanica per dare leggerezza: inizialmente una ballata meditativa che invita il pubblico in questa dimensione decadente e abbandonata a sé.
Solo Don Michele, iniziando il sermone a scena ancora vuota, dà prova di essere per tutto lo spettacolo l’unico baluardo di autenticità nel mare corrotto. Come Dio si erge silenzioso, parla sporadicamente per dare conforto o lezione di vita a Rosy e Alba, ma poi tace. Gli spettatori giacciono come piccole anime sotto la sua onnisciente supervisione. Tutti seduti come le protagoniste, tra le file dei corruttibili.
Ogni nostro spettacolo, realizzato o in cantiere, ha un protagonista in più oltre agli attori: un oggetto che ha la sua centralità in scena. Per Waiting for è il rosone, interamente fatto da noi con carton-legno e gelatine per americane attaccate, così da riflettere i colori da una luce bianca posizionata dietro.
Perché Waiting for? Cosa aspettano i personaggi?
Rosy e Alba aspettano la voglia di agire, di ribellarsi a una vita che si sono ritrovate a non volere davvero né capire fino in fondo.
Attendono…
Attendono di ribellarsi.
Attendono di vivere!
Quando si renderanno conto dei mal affari dei loro rispettivi mariti avranno la possibilità di cambiare, di ribellarsi, di dire basta a una vita di accondiscendenze: Rosy ha un marito violento, ma scusa i maltrattamenti, scambiandoli per atti di protezione e amore; Alba vive all’ombra di un marito assente e traditore, si accontenta dei soldi e dei gioielli con i quali lui la vizia, tentando di sopperire alla mancanza d’amore da parte del marito, e ingannando sé stessa con l’illusione che la chirurgia possa riavvicinarlo.
Potrebbero ribellarsi ma non lo faranno… Alzi la mano chi per convenienza personale non ha mai taciuto! La corruzione è parte di noi, che lo si voglia o no.
Ispirandosi a Waiting for Godot di Samuel Beckett, anche il nostro spettacolo ha un andamento altalenante: i personaggi attendono e, nel momento di rottura, nel caso di Rosy e Alba quello del sacramento della comunione, sembra che le protagoniste riescano a prendere le redini in mano e voltare pagina, ma è proprio dopo l’ascesa che avviene la discesa. Per convenienza torneranno al punto di partenza, abbandonando i buoni principi che si presumeva avessero appreso. Con la differenza, però, che non sono più corrotte inconsapevoli, in balia della vita, ma sono diventate alla fine complici dei mariti.
La musica balcanica dei Fanfare Cicocarlia, “Asfalt Tango” con la sua leggerezza e le sue urla liberatorie distrugge ogni delusione finale: tanto si sa… va sempre a finire così, no?
Alla fine dello spettacolo, Libera coinvolge il pubblico in un breve confronto sulla corruzione. Cosa è venuto fuori da quelle passate?
Se il nostro obiettivo era sensibilizzare sul tema della corruzione in quanto elemento presente nella vita di ognuno di noi, direi che ci siamo riusciti.
Il dibattito tra gli spettatori dopo lo spettacolo è stato gestito da Lisa, rappresentante di Libera Sesto Fiorentino, la quale ha chiesto al pubblico di parlare delle proprie esperienze di corruzione in contesti quotidiani.
Tutti gli interventi sono stati interessanti e costruttivi, due in particolare ci hanno colpito.
Una studentessa universitaria ha sostenuto che all’interno delle università spesso si assiste a comportamenti riconducibili al tema della corruzione: ha parlato del mondo dei dottorati, per i quali una commissione di professori decide a chi assegnare i posti disponibili. Molte volte questi professori sono influenzati dalle relazioni instaurate in precedenza con gli ex allievi e tendono a scegliere loro per il posto a discapito di altri. La valutazione può non essere oggettiva e questo costituisce un’ingiustizia a cui non si dà molta rilevanza.
Un altro spettatore ha parlato del lavoro a nero: molti lavoratori autonomi – come possono essere idraulici, elettricisti, ristoratori… – offrono al cliente un prezzo minore senza la ricevuta, mettendolo spesso nella condizione di accettare soltanto per convenienza economica: a rimetterci sono tutti i cittadini.
Ci piace chiudere ricordando anche l’intervento di una professoressa liceale, che, in modo appassionato, ha parlato di quanto sia importante l’impegno mirato alla sensibilizzazione sul tema della corruzione all’interno delle scuole, per permettere ai giovani, futuri cittadini, di essere consapevoli che molte condotte scorrette hanno grosse ripercussioni sulle persone e sulla società in cui viviamo.
È importante continuare a lottare per far sì che le ingiustizie quotidiane e l’inosservanza della legge diminuiscano sempre di più, incamminandoci verso una società più giusta e più equa tutti insieme, con i piccoli gesti quotidiani di coscienza e responsabilità. Waiting for è il nostro piccolo, importante contributo.