Ofelia 4e48 è uno spettacolo in cui mondi paralleli si incontrano di tanto in tanto, come in uno zapping televisivo repentino di canale in canale; così repentino che il programma sembra sempre lo stesso e lo spettatore ha l’impressione di assistere ad un impazzito gioco di ruoli, inquietante e divertente al contempo. Sulla scena si alternano
Ofelia e Amleto, Sarah e il suo medico, l’attrice e il regista, Elisa e Stefano, la follia e il raziocinio, l’arte e il sociale, l’inafferrabile delicata violenza della poesia e la pesantezza conservatrice, cinica e onnisciente del pragmatismo umano.
Ofelia 4e48 è una corsa sul filo dell’inesprimibile. È un’opera sinfonica ad una sola voce. La musica è un coro inarrestabile, epico, melodrammatico. E sulla scena noi siamo i corpi molli attraversati dall’impeto della forza auto-distruttrice di Sarah; la stessa forza che la rende unica, immortale, irraggiungibile.
Ascendo! Dalla vita all’arte. Non dalla vita alla morte. Non dalla vita ad altra vita. Dalla vita all’arte.
Povera me. Ofelia da 2 soldi. Ofelia senza pretese. Ofelia in quattro e
quattr’otto. Ofelia da rigattiere. Ofelia antiquariato. Illustre suicida di carta stampata. Povera me, con me, senza me… Brucio! / tanto di vita / che mi faccio cenere / alla cenere / alla cenere […] fumare, respirare, vivere, sfumare, lenta eutanasia / io, portatore sano di cibo per vermi / pago l’affitto / l’assicurazione dell’auto / saluto la camera da letto / mi specchio e vado / sottoterra vado / sotto il mare vado / come polline da vento portato / vado.
Povera me. Povera Ofelia da vita tradita. Illusione non ti credo più. Non ti vedo più. E più non parlo.
NOTE DI REGIA
Tutto ciò che si può dire di questo spettacolo è che è nato per caso, che ci è scoppiato tra le mani, come un petardo che doveva fare una sola innocua scintilla e che invece ha ustionato i nostri palmi.
In una fase di condivisione di un metodo di lavoro, riscrittura e creazione (dopo tanti anni di amicizia e tanti anni senza aver più avuto occasione di lavorare insieme) abbiamo cominciato a giocare con un testo, 4:48 Psycosis di Sarah Kane. Non propriamente un testo leggero e dilettevole, ma ci è sembrato il punto di partenza più adeguato in quel momento, vuoi per soddisfare il nostro gusto del macabro, vuoi perché è un testo così complicato da sembrare impossibile. Sta di fatto che, da pochi incontri, nei ritagli di tempo, più per sfogo che per mestiere (e spesso le opere migliori si realizzano così) è nato il nostro Ofelia, appunto, in quattro e quattr’otto.
Presentato per la prima volta in forma di primo studio ad Arti Vive Festival 2009, con una scenografia recuperata in discarica il pomeriggio stesso, in assoluta emergenza, con testi appena scritti e la memoria labile, lo spettacolo ci ha subito colpiti rivelandosi una vera sorpresa anche per noi stessi. Il pubblico aveva riso e se ne era andato piangendo, profondamente toccato dalla nostra esibizione. A noi è servito un po’ di tempo per razionalizzare l’accaduto e rileggere a mente fredda quella sensazione, quell’alchimia che si era creata all’improvviso con gli spettatori, quel gioco così pericoloso che li aveva tenuti attaccati alle sedie per un’ora e dodici minuti
densi di emozioni.
4.48 Psychosis (a volte tradotta in italiano come Psicosi delle 4 e 48) è l’ultima opera teatrale della drammaturga britannica Sarah Kane e risale al 1999. L’opera non ha personaggi o indicazioni di scena espliciti e ciò le conferisce un aspetto inconsueto per un testo destinato alla rappresentazione. Il dramma è scritto dal punto di vista di qualcuno con gravi problemi di depressione, un disordine mentale di cui Sarah Kane stessa soffriva, ed è organizzato come un lungo monologo. Dopo aver completato questo testo Sarah Kane tentò il suicidio ma fu subito scoperta e ricoverata in ospedale. Successivamente, per carenza di personale, fu lasciata sola tre ore durante le quali si impiccò con i lacci delle sue stesse scarpe. Morì il 20 febbraio 1999.
Il nostro Ofelia 4e48 è un gioco di sostituzioni. Alle tante parole di sfogo poetico, drammatico e definitivo dell’autrice inglese sono state sovrapposte immagini a volte rassicuranti, a volte tenebrosamente rassicuranti. I picchi lirici, gli acuti tragici sono stati sostituiti con momenti demenziali, barzellette e trappole di sorrisi. Il conflitto che
Sarah aveva con se stessa è esploso, frammentando lo spettacolo in un caleidoscopio di personaggi e presenze, schegge della propria complessa personalità, testimonianza di una vita d’artista così complicata, da risultare incomprensibile a questo mondo, e così distante dall’attitudine profondamente umana a semplificare tutto, per rendere il tutto comprensibile, accettabile, digeribile. Sarah è stata un’artista, una ragazza, dalla sensibilità così scottante da non poter appartenere a questa vita. A questa sola vita.