Questa poesia di Emanuele Martinuzzi è la trasposizione letteraria del celebre dipinto di Giorgio de Chirico, intitolato appunto “La nostalgia dell’infinito”. Un’atmosfera onirica e indefinita, chiaroscuri come sguardi, figure umane appena abbozzate e incerte, una luce riflessa spettrale e lontana, un senso di caducità e malinconia, un’intensa leggerezza nei nitidi contorni delle cose che sfumano in sogni e dei sogni che si risvegliano come cose. Questo e molto altro la metafisica che i dipinti di de Chirico incarnano nelle sue linee, nelle sue forme e nei suoi colori e che questa poesia tenta di tradurre, conservando quell’afflato metafisico di infinito e nostalgia, anche attraverso il linguaggio.
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Nostalgia dell’infinito
Spettrali cadaveri di luna,
genuflessi nell’enigma del crepuscolo,
assecondano l’incerto ombreggiare.
Si arena immobile ai piedi di una torre,
slanciata dalla vertigine dei venti,
quel vuoto esistere senza meta
di gelide bandiere confinate con le stelle.
Nella stagione di una figura umana
senza un passato da venerare,
con la sola penombra in cui ritrovarsi.