L’ANAP è l’Associazione Nazionale aderente all’AGIS che riunisce i Festival e le Attività Professionali delle Arti Performative di Strada, del Circo Contemporaneo e del Teatro di Figura. Qualche settimana fa ha lanciato su change.org la petizione Senza cultura si muore per chiedere al MiBACT la consultazione degli operatori delle Arti Performative. Per l’associazione la ripartenza non può prescindere dal confronto con gli esperti del settore, come dimostra la difficoltà di applicare le misure di sicurezza prescritte.
L’appello è stato condiviso anche da FeditArt (Federazione Italiana Artisti), dall’associazione culturale Italia Jazz e dall’UNPLI (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia), che insieme all’ANAP vogliono rappresentare il patrimonio di decine di migliaia di eventi, festival, spettacoli e performance che rientrano nella definizione di teatro urbano.
Tra le quasi 4000 firme raggiunte finora ci sono quelle di Leo Bassi, Sergio Bini in arte Bustric, Matteo Belli, Andrea Brugnera, Domenico Lannutti, Enrico Moro e del writer Maupal.
Abbiamo posto alcune domande ad Alessio Michelotti, Direttore Generale dell’ANAP, che, insieme al Presidente Carlo Alberto Lanciotti e a tutto il consiglio direttivo, si è speso in questi giorni per divulgare l’appello e la petizione.
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Senza cultura si muore. Quindi con la cultura si mangia?
È nostra opinione che la cultura non debba attendere con rassegnazione la ripartenza, ma che sia essa stessa uno strumento irrinunciabile per far ripartire il paese. Citando il ministro Franceschini, possiamo affermare che quello alla cultura è uno dei principali dicasteri economici italiani. Si tratta però di capire qual è la cultura con la quale effettivamente “si mangia”, quali attività e quali modelli virtuosi svolgono un ruolo anche sociale e di sviluppo dei territori. Il sistema culturale italiano purtroppo è da molto tempo arroccato su posizioni assistenzialistiche e su logiche di spartizione che nulla hanno a che vedere con la promozione del bene comune. La cultura è uno dei patrimoni collettivi più importanti che il nostro paese ha all’attivo. Stupisce ad esempio che il commissario Colao, nel recente documento redatto dalla sua task force, se ne sia dimenticato.
Quanti eventi sono stati annullati a causa dell’emergenza sanitaria? Quanti sono a rischio?
Salvo qualche eccezione, quasi tutti i più importanti eventi, quelli che hanno bisogno di lunghi tempi di preparazione e quelli che non possono rinunciare ai grandi numeri di pubblico, sono stati cancellati. La difficoltà delle amministrazioni locali ha poi inciso molto anche sui piccoli e medi eventi. Stimiamo che siano decine di migliaia le realtà compromesse o a rischio. Le attività dello spettacolo urbano, spina dorsale del nostro turismo culturale, vera e propria “prima linea” delle arti performative nella provincia italiana, sono radicate nei borghi e nelle città storiche. L’emergenza ha imposto alle comunità di dare priorità al settore del sociale, dell’assistenza alle persone. Ancora una volta i problemi sul campo non nascono con l’emergenza, ma nelle lacune delle nostre politiche culturali pregresse. Manca un piano nazionale adeguato per il sostegno di quello che noi chiamiamo “lo spettacolo delle città”, uno spettacolo totale che crea indotto, innovazione artistica, che rinsalda il popolare con il colto e che è anche però tremendamente vulnerabile, proprio perché non può semplicemente essere consegnato al cosiddetto “mercato”.
Che cosa si intende per ‘teatro urbano’?
Non è solo una denominazione di tipo ambientale. I linguaggi di questo teatro sono peculiari. Si tratta di un teatro totale nel quale spesso si assiste ad una molteplicità e varietà di eventi performativi molto ampia. Tutti però hanno in comune la capacità di alimentarsi dei segni della città. La città è la vera protagonista della scena, con la sua architettura ma anche attraverso la presenza del suo pubblico, dei cittadini e delle altre persone che la animano, esse stesse attori e attrici più o meno consapevoli di un unico grande e arcaico rito.
Perché lo strumento della petizione?
La petizione è lo strumento più adeguato per far sentire la nostra voce, perché le nostre non sono solo rivendicazioni sindacali. Questa petizione in poco tempo ha raccolto moltissime firme di semplici cittadini. Sono essi stessi i primi a chiedere che sia loro riconsegnato il teatro, la danza, la musica, il circo negli spazi pubblici. Il Covid ci ha portato via molte cose, tra le più preziose e irrinunciabili c’è l’accesso alla cultura, allo spettacolo dal vivo. Le attività rappresentate dall’ANAP e dalle altre sigle che hanno promosso questa petizione sono patrimonio di tutti e siamo convinti che non sia possibile vivere nella completa privazione di questo bene. Non possiamo vivere in una realtà surrogata: abbiamo tutti bisogno di tornare a condividere emozioni, di tornare alla bellezza, e questo non lo si può fare né trasferendo la piazza nella rete, né restando mutilati della nostra dimensione sociale. Si devono trovare le soluzioni per vivere in salute, e la salute di un popolo si misura anche dalla salute della sua vita sociale e culturale.
In quanti hanno aderito finora?
La petizione è online da qualche settimana, ma sta prendendo slancio proprio adesso. In questo momento siamo vicini alle 4.000 firme, ma siamo fiduciosi che potranno essere molte, molte di più.
Tutto il mondo dello spettacolo sta affrontando delle grosse difficoltà. Quali lacune normative toccano nello specifico il vostro settore?
Come spesso accade, nel nostro paese non si affrontano i problemi specifici con chi ha specifica competenza. Dappertutto si parla di riaprire all’aperto, eppure non si è voluto far tesoro dell’esperienza di chi all’aperto opera professionalmente da decenni. Gli operatori dei nostri festival sono abituati da sempre a gestire problematiche complesse: enormi flussi di pubblico, piani di sicurezza sempre ciclopici, conferenze di servizi che durano settimane… Il motivo è chiaro: un evento all’aperto ha un impatto su tutti gli aspetti della vita collettiva e i problemi concreti sono tantissimi. Nulla a che vedere con chi opera in un’ambiente protetto e dedicato al teatro. Quest’anno la sfida è quella del distanziamento e del contingentamento del pubblico. Non è una sfida impossibile, ma le soluzioni date dai cosiddetti esperti (di che cosa?) sono davvero improponibili.
Per esempio?
Si chiede di attrezzare le sedute con la possibilità di arrivare a 1000 posti, ma non si chiarisce come queste platee debbano essere predisposte, visto che sopra un certo numero di posti scatta l’obbligo di ancoraggio al suolo. Perché non consentire anche sedute a terra o marker segnaposto per il pubblico in piedi? Ce lo immaginiamo un pubblico seduto di 1000 persone distanziate di 1 metro? I virologi sono arrivati a parlare di mascherine per gli attori: davvero un malinteso pensare che questa misura sia attuabile! Le Regioni stanno rivalutando tutto, ma la disomogeneità sul territorio nazionale renderà le cose ancor più difficili purtroppo. Le nostre compagnie viaggiano ogni giorno da un angolo all’altro dello stivale: una compagnia piemontese che opera nel Lazio a quale normativa dovrà richiamare i propri attori?
Avete delle proposte risolutive concrete da sottoporre al MiBACT?
Abbiamo elaborato un protocollo di misure per il contenimento del Covid che abbiamo proposto ai Comuni. Molti di loro sostengono questa nostra proposta, che è stata condivisa anche con altre rappresentanze dello spettacolo dal vivo. È scaricabile dal nostro sito www.artiperformative.it e pensiamo che valga la pena prenderla in considerazione. È stata realizzata a più mani da operatori, artisti e tecnici. Credo che le nostre istituzioni, di ogni livello, dovrebbero confrontarsi con questo lavoro per quello che riguarda le misure di sicurezza per lo spettacolo all’aperto.
Ci sono realtà all’estero da cui prendere spunto?
Sicuramente. In Europa lo spettacolo negli spazi aperti non è considerato subalterno a quello di sala e, soprattutto nei paesi del nord, c’è stata un’ampia concertazione con tutte le categorie per introdurre misure adeguate per il contenimento della pandemia e per il sostegno alle attività di spettacolo. Sono molto più pragmatici di noi. La Francia, ad esempio, ha reagito in modo esemplare alla crisi, coinvolgendo tutti i livelli istituzionali grazie ai Centres Nationaux che sovraintendono l’attività di ogni comparto. Anche i Comuni sono stati coinvolti nell’elaborazione delle giuste politiche per la ripartenza. La città di Barcellona ha preso l’impegno di recuperare, durante la seconda parte della stagione, tutte le produzioni artistiche cancellate nel periodo più difficile. Da noi si parla spesso solo di tutele e contribuzioni che, al di là dei proclami, arrivano in misura adeguata sempre e soltanto ai soliti noti. Ma il nostro settore ha soprattutto bisogno di ripartire.
Avete cercato la collaborazione di altre realtà dello spettacolo?
Nell’ambito dello spettacolo urbano l’ANAP ha attivato un tavolo di crisi a partire dall’inizio di aprile. Molte realtà si sono avvicinate. Abbiamo coinvolto anche diverse amministrazioni comunali, all’inizio scettiche sull’opportunità di riprendere gli eventi, poi via via sempre più convinte che la cosa fosse possibile. Affrontare i problemi insieme ci rende maggiormente capaci di reagire, di trovare soluzioni efficaci. Le divisioni invece sono sempre negative e distruttive, anche per coloro che distinguendosi pensano (a torto) di conservare rendite di posizione. Adesso il nostro fronte è composto da tante sigle del mondo dello spettacolo dal vivo. Tra queste l’Associazione del Teatro di Figura, I-Jazz, l’UNPLI, FedItArt.
La particolarità delle arti che rappresentate è quella di avvicinarsi allo spettatore. Crede che questi mesi abbiano cambiato la percezione delle arti? E dello stare vicini?
Noi siamo convinti che un rapporto stretto tra artista e pubblico sia il fondamento dell’atto performativo. Il nostro è un teatro fisico, viscerale. Oggi la gente ha bisogno più che mai di ritrovare questo rapporto, o quantomeno di avere la conferma che, anche se molte cose possono cambiare per qualche tempo, il legame possa essersi conservato. La base di questo rapporto è un bisogno fondamentale dell’uomo. Non può venir meno. Saremo ancora costretti per un po’ a mantenere la distanza – gli artisti si stanno già inventando gli escamotage più creativi per rispettare le norme di sicurezza salvando il dialogo con il pubblico – ma dobbiamo pensare, e noi lo pensiamo davvero, che prima o poi questo finirà. Solo quando finirà avremo davvero vinto la battaglia contro il virus.