L’idea è semplice eppure geniale: opere che non si sfogliano ma si aprono, diventando infine un manifesto (d’autore) da appendere. “Libri da Parati”, così li ha chiamati la casa editrice Verbavolant, che li ha ideati e registrati (nel marchio e nel design). “Sono libri custoditi all’interno di una cartelletta fustellata che funge da copertina, e sono ripiegati”, spiega la fondatrice e direttrice editoriale Fausta Di Falco: “Quindi vanno letti e aperti nello stesso tempo, man mano che si leggono diventano sempre più grandi fino a diventare un vero e proprio poster, dalla dimensione 70×100, che può essere incorniciato e appeso al muro”. Un’idea fortemente innovativa, dunque, che si avvale di storie brevi e poetiche, di grafica e disegni meravigliosi: un prodotto editoriale che, pur rivolgendosi ai bambini, è ovviamente apprezzato dai lettori di tutte le età.
La Verbavolant nasce nel 2004 a Siracusa, specializzandosi negli ultimissimi anni in narrativa, albi illustrati e fumetti per l’infanzia. Un catalogo eclettico (oltre 70 titoli), con opere tutte molto ben definite, contraddistinte dalla grande attenzione anzitutto all’oggetto-libro, che deve essere “materialmente” bello e piacevole da sfogliare, e dalla notevole cura sia per i testi sia per le illustrazioni. “Fin da piccola sono stata circondata dai libri, la mia nonna materna era un’avida lettrice, ogni momento libero era dedicato alla lettura”, aggiunge Di Falco: “I miei, inoltre, sono di formazione classica e ogni scusa era buona per utilizzare il motto latino adeguato, ecco qui la scelta del nome. Sarebbe stato scontato usare ‘scripta manent’, in realtà il nostro desiderio è che le parole volino accompagnando il lettore nel suo percorso di crescita”.
Tra i Libri da Parati segnaliamo “Seb e la conchiglia”, opera finalista al Premio Andersen 2019 per la categoria 6-9 anni, scritta dall’autrice e redattrice editoriale Claudia Mencaroni e disegnato dall’illustratrice e artista autodidatta Luisa Montalto. Una bambina di notte si alza dal proprio lettino, si cala il cappuccio della felpa sulla testa, scende le scale di corsa scivolando via sul corrimano, e va tutta sola in un posto di cui “nessuno conosce la strada”: un luogo magico, un piccolo fossato “al riparo dei noccioli”. Lì trova Seb, che “parla una lingua che nessuno conosce”, tranne lei, cui porge una conchiglia, che lui annusa e “sfrega contro una guancia” come il più prezioso dei regali, come un pegno d’amore.
“Seb è un bambino, parla la lingua dei bambini”, spiega Claudia Mencaroni in una recente intervista: “Quella che spesso non comprendiamo e che, nel migliore dei casi, liquidiamo con una risatina, nel peggiore, correggiamo noi, cattivissimi adulti. Seb parla la lingua della fantasia, di una libertà e potenzialità che una volta cresciuti ci diventa inaccessibile”. Il racconto descrive un’amicizia del tutto particolare, reale e fantastica nello stesso tempo: un legame fatto di gesti e di tempo sospeso, di silenzi e complicità muta, con i cuori che pulsano “come tamburi” in una notte che è “un’orchestra di foglie, di stelle, di vento”. Una storia profonda e magistralmente scritta, illustrata oniricamente con disegni realizzati con la tecnica della pittura tradizionale cinese a pennello di bambù.
“È successo a diversi animali tutt’a un tratto di cambiare paese, per ragioni più o meno banali si sono persi alla fine del mese”. Inizia così “Gli spaesati”, picture book della poetessa e scrittrice italiana di origini francesi Mia Lecomte, splendidamente illustrato dalla genialità cromatica del faentino Andrea Rivola. Il volume raccoglie 15 brevissime storie, tutte in rima, di altrettanti animali che, per scelta o costrizione, hanno dovuto cambiare il proprio habitat, acclimatandosi dunque in paesaggi e temperature del tutto diverse. Spaesati, appunto, perché posti in un contesto diverso da quello naturale: un cambiamento positivo per alcuni, terribile per altri. Un’allegoria delle migrazioni planetarie, del rimescolamento identitario e dell’ibridazione delle culture (temi particolarmente cari all’autrice), svolta però con semplicità e divertimento.
C’è il pappagallo Beto che dal Brasile va in Tibet dove “veste tuniche rosso discreto” e “recita mantra con aria ispirata”, c’è il lama Paquito che dalle Ande si ritrova in Lapponia e a “ogni sputo che lancia è pentito” perché la saliva si trasforma in chicchi di grandine. C’è la formica africana Ribka che va in Giappone, il canguro Tim in Svizzera, il bradipo Angel in Islanda, l’aquila americana Nicky in Olanda, il kiwi Haka a Hollywood dove “spopola con pelliccia e anello”, la balena Helga in una “piccola vasca” di Londra, la foca Kaj dal Polo Sud a Venezia. Tante storie curiose e sorprendenti, scritte con un’accuratezza linguistica senza pari e, come si diceva all’inizio, illustrate con grande maestria. “Non c’è una narrazione, ma una raccolta di ‘quadri’, ogni animale è come un ‘manifesto’ nel quale va condensato tutto il personaggio”, conclude il disegnatore Andrea Rivola: “Mi sono dato delle regole, tre o quattro colori al massimo, molto caratterizzanti, anche per trasmettere lo spirito della cultura in cui l’animale si è trovato. Una scelta che può ricordare certi manifesti degli anni trenta e quaranta del secolo scorso”.