Può uno spettacolo raccontare la vita di un personaggio storico? Può uno spettacolo raccontare la vita di un personaggio come Rita Levi Montalcini, scienziata italiana di fama mondiale, donna emancipata in un paese culturalmente patriarcale?
Se si trattasse di un quesito reale, questo innescherebbe un dibattito fecondo quanto irrisolto, con posizioni convincenti e condivisibili da ambo gli schieramenti, quello degli scettici e quello dei possibilisti.
Il punto è che il dubbio testé presentato non è un argomento che riguarda uno spettacolo; quel dubbio è lo spettacolo stesso. E lo spettacolo risponde al titolo di Rita, un genio con lo zucchero filato in testa: in scena Valentina Olla, che inoltre firma a quattro mani il testo assieme alla regista Sabrina Pellegrino.
Un testo che si sforza pervicacemente di rimanere nelle forme del copione teatrale, come un disegno che rifugge forme e colori fissi, preferendo la sostanza rimodulabile della matita. Non perché si voglia cancellare, nascondere qualcosa, ma perché di fronte a certe storie la speranza di contenere è pura utopia. Si può solo fermarsi e ricevere, come un terreno con la luce del giorno, e lasciarsi nutrire.
Con Rita Levi Montalcini, contenere o conservare tutto è ingenuamente impossibile: alla scienziata di fama mondiale, alla donna emancipata cresciuta e vissuta in un paese patriarcale vanno aggiunti i profili dell’ebrea che conobbe giovanissima l’esodo a causa delle leggi razziali, quindi gli orrori prodotti dalle ideologie nazionaliste e dalla guerra mondiale. E poi “dettagli” di poco conto come il premio Nobel ricevuto nel 1986 e la carica di senatrice della repubblica italiana, rivestita con dignità ed eleganza uniche fino all’età di 103 anni. Tutto questo, per restare nell’orbita dei fatti macroscopici espunti dalla biografia del personaggio pubblico. Il che è davvero molto, ma non chiude il cerchio di una vita.
Valentina Olla ha il pregio di leggere in partenza questo intero sistema di fattori e di agire conseguentemente: in scena l’attrice non veste i panni di una Montalcini trasformata in personaggio teatrale, che la stilizzazione recitativa trasformerebbe necessariamente, automaticamente in parodia. No: noi spettatori dialoghiamo con l’autrice di uno spettacolo ancora tutto da scrivere, maledettamente difficile, irresistibilmente accattivante. La scena è corredata da una scrivania coloratamente sovraccarica, con tanto di laptop, libri, fogli di carta e matite: lo scrittoio – ahimé – del dramaturg moderno, un tinello privato su cui campeggiano oggetti di domestica quotidianità: un appendiabiti, un soprabito, uno scialle, un cappello. Beh, poi c’è qualcos’altro, in un angolino quasi magico del palco, come avranno modo di scoprire gli spettatori…
Il titolo dello spettacolo contiene invece l’indizio che completa le coordinate di questo progetto teatrale: quel nome diretto, senza cognome né titoli, come si userebbe con una amica, e poi quel tocco di fiabesco, un correlativo oggettivo rubato al paniere iconico dell’infanzia, usato come una pennellata per aggirare una descrizione razionale, fotografica. C’è infatti nelle maglie dello spettacolo tutto – dal testo alla regia – una misura che richiama la dimensione dei grandi cartoon: un riferimento di base alla realtà, alla credibilità dei personaggi e degli eventi, sospesi però in una modalità parallela, uno scarto dai modi del reale vero e proprio, dove si frappone la magia tutta umana del talento, dell’arte come bussola per governare l’azione dei corpi: la scansione della parola, la tonalità della voce, il canto, la gentilezza del gesto sapientemente educato e riscoperto come possedimento proprio, la danza.
La versatilità del linguaggio scenico usato sul palco è il terzo componente assolutamente organico dello spettacolo, incarnato sia da parte di Valentina Olla che da Marco D’angelo, di cui davvero non si riesce a non apprezzare la precisione di esecuzione ogni volta che compare in scena, anche nei passaggi più brevi.
Cantare e parlare si interpolano nell’atto di dire e di far procedere la storia, che in questo caso è quella con l’iniziale maiuscola: il Novecento e l’accompagnamento dentro il nuovo secolo, il nuovo millennio, fatto grano a grano dalle vite di tutti noi. Questo nesso tra la straordinarietà della vita di Rita Levi Montalcini e l’ordinaria mediezza di chi la riscopre oggi, è un tratto che lo spettacolo percorre convintamente, come un riconoscimento doveroso, il lascito più intimo consegnatoci da “Rita”: l’intelligenza, che deve essere un principio da inverare nelle azioni, da alimentare e diffondere alla stregua di un mantra, di un ritornello, di uno slogan; la mente umana, il cervello come dotazione preziosa, meraviglia magmatica misteriosa e scintillante, ma anche puro muscolo da allenare e rinforzare tramite un training quotidiano indefesso. Ecco il viale per un futuro migliore in ogni senso, dove il progresso tecnico si coniuga con quello sociale, interiore quanto materiale.
Non mancano i passaggi critici, le ombre, i dubbi, legati ad una figura che ha attraversato da protagonista la storia, scegliendo di sposare la sua vita ad una missione, una vocazione. E non mancano i momenti leggeri, brillanti, persino comici.
Notevole l’energia impressa alla recitazione da Valentina Olla, che sostiene un ritmo altissimo per l’intera durata dello spettacolo. Il pubblico – coinvolto in questo modo alla stregua di un dialogo atipico – risponde con partecipazione lungo i diversi momenti e capitoli del percorso, mostrando infine l’emozione raccolta di chi ha lanciato lo sguardo per un lungo attimo oltre la siepe della propria isolata esperienza.
——–
CREDITS:
Titolo: “Rita un genio con lo zucchero filato in testa”
Con: Valentina Olla, Marco D’Angelo
Testo: Valentina Olla e Sabrina Pellegrino
Regia: Sabrina Pellegrino
Scene e costumi: graziella pera
Disegno Luci: Marco Laudando
Coreografie: Valentina Varone
Direzione Musicale: Claudio J. Bielli
Produzione: UAO Spettacoli