Il Barocco fa il suo ingresso a corte
La città di Ancona possiede uno spazio particolarmente adatto ad ospitare spettacoli d’ogni genere durante la stagione estiva, la Corte della Mole Vanvitelliana, e il Teatro delle Muse per il 2020 ha ben pensato di allestire lì l’opera da camera, spesso purtroppo lasciata in disparte.
Il progetto Kammeroper alla Mole ha presentato opere da camera di autori e genesi diversi in forma semiscenica, con bravi e noti artisti, che si sono mossi davanti ad ensembles orchestrali posizionati su un palco.
La suggestione della location ha aumentato la godibilità e il gradimento.
Ha aperto la rassegna l’1 settembre Il Maestro di Cappella di Cimarosa con lo straordinario baritono Alessandro Corbelli, il 5 un lavoro giovanile di Offenbach Pépito ha visto un altro bravissimo baritono Alfonso Antoniozzi come protagonista e regista e il 9 il barocco è entrato a corte con la serenata teatrale settecentesca Marc’Antonio e Cleopatra di Johann Adolf Hasse, scritta a Napoli nel 1725 per le voci delle star dell’epoca, il contralto Vittoria Tesi e il castrato Farinelli, che interpretò il ruolo della regina egiziana.
Per questa rarità la Mole ha ospitato l’Accademia Bizantina, ensemble barocco di pregio, col suo fondatore e direttore Ottavio Dantone, raffinato musicista e prestigioso clavicembalista di chiara fama. La presenza di Dantone è una sicurezza di qualità. Sono note la sua profonda conoscenza della prassi esecutiva barocca, l’accuratezza stilistica nell’interpretazione, la serietà professionale e la sua riservatezza. E l’Accademia Bizantina, che è una sua creazione, risponde perfettamente alle richieste e al gesto del suo direttore seduto al cembalo.
La perfezione del suono dell’ensemble si avverte subito nella musica ritmata e brillante che apre l’opera Marc’Antonio e Cleopatra con arcate graffianti cui seguono le volatine dei violini e le voci gravi dei contrabbassi. Si apprezza nella pacatezza delle arie di dolore e nei guizzi di quelle di furore e nel saper ricreare il clima tipico della musica settecentesca.
Il contralto Delphine Galou en travesti ha interpretato il ruolo di Marc’Antonio e il mezzosoprano Sophie Rennert quello di Cleopatra, in origine affidato al famoso castrato Farinelli.
Il bel colore contraltile di Delphine Galou e la sua buona conoscenza della prassi esecutiva barocca, compresa la messa di voce, sortirebbero maggior incisività se sostenuti da più spessore vocale specialmente in zona grave, da dizione comprensibile e da pienezza dei suoni. Ci vedrei bene un contraltista in questo ruolo.
Sophie Rennert ha un bel timbro mezzosopranile, pulito e squillante, la voce è duttile, solida ed estesa per eseguire i gorgheggi, i trilli, gli sbalzi, le spinte acute dell’insidiosa scrittura, per piegarsi alla sinuosità delle linee melodiche e alla morbidezza del canto a mezza voce nelle espressioni di dolore, per cesellare i ricami e gli abbellimenti delle lunghe arie virtuosistiche e per emettere frecciate taglienti nelle frasi di furore.
Canta bene e con pienezza del suono, ma si fa difficoltà a capire le parole, che in un’opera poco nota, senza azione teatrale e senza sovratitoli è importante.
I due protagonisti posizionati ai due lati estremi del palcoscenico vivono in due dimensioni separate e dialogano a distanza facendo riaffiorare i ricordi delle loro vite, in attesa della morte, unico rimedio all’onta della sconfitta e all’inaccettabile eventualità, da parte di Cleopatra, di essere fatta prigioniera e condotta in catene a Roma dietro il carro del vincitore Ottaviano Augusto, dopo la battaglia di Azio nel 31 a.c..
Allestimento di Lucio Diana, drammaturgia di Vincenzo De Vivo.