Si è conclusa nello scorso weekend, dal 16 al 18 settembre con un tris tutto al femminile, l’ottava edizione di Corpografie, il festival di danza contemporanea diretto da Anouscka Brodacz. Ed è stata proprio lei, la direttrice artistica, a chiudere i battenti con una performance ardita e supertecnologica dal titolo “XX D-Motion”, questa volta al teatro Florian Espace, sabato 18. Con lei sulla scena Flavia Massimo al violoncello amplificato e Andrea Micaroni al mixer della digital motion per esplorare le relazioni tra suono, corpo e movimento con l’animazione digitale. Quali relazioni intercorrono tra questi elementi? E quale potrebbe essere il suono di un gesto, la sua risonanza e le sue vibrazioni che si propagano nello spazio? Di questo si è interrogato “XX D-Motion”, questo cromosoma femminile progettato per esplorare il corpo e il mondo circostante a partire dalla struttura di base dell’essere umano, nella relazione suono e movimento. I tre performer interagiscono per mettere a punto un linguaggio sonoro e visivo che gioca con la fantasia e l’immaginazione conducendo lo spettatore in un mondo immaginifico e virtuale, per un corpo extrasensoriale a metà strada tra quello fisico e quello digitalizzato. Un viaggio cosmico tra l’ “in e l’out” del genoma umano nell’interfaccia digitale, nell’iper-corpo progettato come un hard disk da formattare e riprogrammare ogni volta che si accede ad un livello più alto di conoscenza. Una performance che amplifica la percezione di sé verso un’esplosione che a sua volta scarica scorie accumulate, come una sorta di “big bang” che azzera e rigenera la specie, tra suoni ancestrali e movimenti semplici, quasi elementari come a voler riportare ad un grado zero la specie.
A sorprenderci tra i simboli, parole, giochi e riflessioni di un corpo geo-culturale è lo spettacolo “Without Color” del Gruppo E-motion di e per la coreografia e regia di Francesca La Cava, come ultimo spettacolo in scena allo Spazio Matta lo scorso 17 settembre. Timothé Ballo, Sellou Blagone, Stefania Bucci, Francesca La Cava e Antonio Taurino, intraprendono un viaggio nell’universalità dell’essere umano, dove ogni corpo si fa racconto di un mondo, di vite diverse. Tutto ha origini nell’involucro materno . Tutto si genera nell’uovo, simbolo di vita e rinascita, che Francesca La Cava sparge sulla scena danzando e vestendo i panni di una grande madre, saggia e generosa. I giovani danzatori ripercorrono per tappe l’origine della vita a partire dallo stato embrionale che avvolge il feto sin dal suo primo battito nel ventre materno. Così disposti su quattro punti nello spazio, dove quattro fasci di luce li avvolgono dall’alto, i danzatori si muovono come fossero dentro un ventre. Movimenti lievi come se ascoltassero suoni amplificati, ammiccano poi tra loro, fanno smorfie per poi nascere, emettere vagiti e crescere. Gradualmente la danza prende vita ripercorrendo le fasi iniziali, passando dalla posizione “a gattoni”, dalla quale snocciolano movimenti, intrecci di corpi, incatenamenti ludici e sorprendenti. La crescita e la scoperta cedono il passo ad un clima più acre che spazia tra “smanioserie” piccanti e duetti di “contact” fluidi dove la conoscenza di sé e dell’altro si offre generosa e sconfinata. Non esistono barriere, non esistono colori nella scoperta, ma solo corpi, vibranti e affamati, che sotto la pelle ansimano verso la conoscenza e l’amore fraterno.
In colori sintetici e freddi ci immerge invece “È tutto blu” di Mariagiovanna Esposito, un lavoro minimale, stellare che parte dalla consapevolezza di un corpo che si muove, andato in scena lo scorso 16 settembre allo Spazio Matta. Tutto ha inizio nell’alba, in quel tempo sospeso a metà strada tra la fine della notte e i primi bagliori del giorno. Lentamente il corpo della danzatrice Elisa Quadrana prende vita sulle sonorità già avanzate di Ivan Liuzzo. Risvegli, movimenti minimi si espandono nella scena gradualmente. Lo spazio via via si satura di gesto, di danza fino ad un andirivieni esasperato di camminate su una partitura elettronica martellante, il ritmo frenetico della vita urbana incalza, sfianca e strema le vite umane. Tutto si dirada, l’ambiente si ovatta e lentamente il corpo sfoga movimenti più virtuosi, liberatori per chiudere un viaggio verso una realtà virtuale o immaginifica. Scorrono e coesistono su più piani pensieri ed emozioni dentro e fuori la nostra pelle, esistenze incrociate tra sguardi fugaci, che la performance esplora ed accenna poi, come metafora di percorsi, di incastri tra strade infinite. L’audace e sofisticato sodalizio con il suono e le luci, quest’ultime disegnate dalla stessa coreografa Mariagiovanna Esposito, illuminano quegli attimi sospesi della quotidianità, dove tutto è ancora da rimodulare, in quel preciso istante, sfumato e cangiante, dove tutto è blu.
Cristina Squartecchia