, giovane autore di “Precarie età” ha confezionato un’opera a due voci esemplare. Ha scandagliato l’animo umano nelle sue varie declinazioni, è entrato nei recessi della psiche non con l’approccio serioso e saccente dello psicologo, ma con profonda levità utilizzando la lente dell’ironia e dell’umorismo che aiuta a sdrammatizzare e a risvegliare il vitalismo messo in sonno dalle avverse situazioni.
La storia ci parla di due donne cinquantenni costrette a vivere gli stessi disagi e le stesse difficoltà esistenziali in tempi diversi, ma con un differente approccio. Già i cognomi (Nobile e Battaglia) sono lo stigma della personalità delle due. Silvana, la prima, di ottima famiglia, colta, laureata, donna in carriera appare sicura di sé. Marina, la seconda, di umile famiglia, abbandonata dal marito, lavoratrice precaria dopo venticinque anni di “onorato servizio”, vittima del mobbing aziendale è una donna dal carattere forte e determinato. I loro destini si incrociano. Silvana, specializzata in ristrutturazioni aziendali, aiuta Marina a trovarsi un nuovo lavoro. Passano cinque anni e le amiche si ritrovano in situazioni si invertite. Sarà Marina diventata abile imprenditrice ad aiutare Silvana che, lasciata dal marito e caduta in una profonda crisi esistenziale, conduce una vita da reclusa sommersa da montagne di rifiuti. Una donna fragile e caratteriale che contrasta con l’apparente sicurezza, cinque anni prima, quando incontrò Marina. Il destino gioca con le due donne la partita della vita con le stesse carte. Una vince, l’altra perde, ma l’intervento di Marina avrà una funzione catartica. Anche la vita Silvana riprenderà il suo corso. La storia emblematica di due donne che devono affrontare i problemi dell’età e del lavoro è riassunta in modo intelligente dall’unione dei due temi “Precarie età e precarietà”. La commedia, toccando con misura le corde tristi dell’esistenza, riesce non solo a far riflettere, ma a divertire e perfino a strappare qualche risata. Comico l’excursus in campo economico quando Marina accusa l’inadeguatezza del Pil (prodotto interno lordo) a misurare il grado di benessere di una società. Se dunque la commedia genera questo concerto di emozioni (di pancia, di cuore e di testa) il merito va attribuito a più soggetti. Oltre a Maurizio Donadoni dobbiamo ricordare la regista Cristina Pezzoli che riesce a far girare alla perfezione il meccanismo scenico e infine (scegliete voi se “dulcis in fundo” o, con un certo understatement “Last but not least”) le due adorabili, bravissime, versatili attrici Maria Paiato (Marina) e Patrizia Milani (Silvana). Applausi!