Ci sono voluti oltre 50 anni, ma alla fine i pupi del padre Giacomo sono tornati a casa, a Palermo, nel Laboratorio di via Bara all’Olivella. Si inaugura martedì 14 dicembre alle 10 la mostra “Pupi dispersi. Pupi ritrovati” con la direzione artistica di Mimmo Cuticchio che raccoglie 56 pupi dell’Ottocento che Giacomo Cuticchio aveva lasciato a Parigi nel lontano 1967. Mimmo Cuticchio ha sperato per anni che potessero tornare a casa: è successo proprio prima del lockdown del 2020 e durante questi due anni di pandemia li ha restaurati con il prezioso supporto di Tania Giordano, costumista e scenografa del Teatro dei Pupi. Adesso quei 56 pupi ritrovati saranno in mostra nel laboratorio di via Bara all’Olivella, tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 15,30 alle 18, fino al 31 dicembre (eccetto il 25 e il 26 dicembre) con ingresso gratuito. Il materiale della mostra è stato raccolto in un catalogo,
a cura di Elisa Puleo, disponibile nella sede del Laboratorio,
La mostra racconta una storia da romanzo che comincia nel 1967 quando Giacomo Cuticchio viene invitato a Parigi per uno spettacolo all’ambasciata italiana. Mimmo è il suo braccio destro, ma quella che doveva essere una breve esperienza si trasforma nella possibilità di ritagliarsi un ruolo di rilievo nella storia della grande tradizione teatrale, un’occasione per intraprendere un percorso autonomo rispetto al padre. E’ proprio a Parigi, infatti, che Mimmo Cuticchio intuisce la forza universale del pupo, la sua capacità di comunicare ed emozionare indipendentemente dalla lingua e comprende che la tradizione e l’innovazione sono sorelle, che possono camminare accanto e spesso rincorrersi.
Nella capitale francese, Giacomo, Mimmo e l’aiutante Giuseppe Arini conoscono Enrico Panunzio, intellettuale pugliese grande appassionato dell’Opera dei pupi, che in quel periodo era il direttore della biblioteca dell’Istituto italiano di cultura di Parigi. Panunzio propone a Giacomo di vendere a lui i pupi con i quali aveva realizzato lo spettacolo parigino e di fermarsi ancora per qualche settimana in modo da avviare un teatrino nella sede della Librarie 73 al boulevard Sant Michel. A Parigi, Mimmo dirige il teatrino per alcuni mesi, scrive e mette in scena il suo primo copione, ma di lì a poco è costretto a tornare in Italia per il servizio di leva. Il ritorno a Palermo segnerà l’inizio del suo percorso teatrale, autonomo rispetto al padre, a cominciare dalla nascita nel 1971 del gruppo Figli d’Arte Cuticchio.
Ma in tutti questi anni, Mimmo Cuticchio, ha sempre sperato di riportare a Palermo quei pupi lasciati nella Librarie 73 di Parigi. Non ha mai interrotto i contatti con il professore Panunzio che al suo rientro nella città natale di Molfetta, sistemò i pupi e altro materiale scenico all’interno di Torre Pulo, un ex convento dei cappuccini di proprietà della sua famiglia. Negli anni, in occasione di qualche tournée della compagnia dei Figli d’Arte in Puglia, Mimmo Cuticchio aveva avuto l’occasione di rivedere i pupi della sua famiglia. Nel 2015 Enrico Panunzio muore e i pupi restano a Torre Pulo, custoditi dai figli Antoine e Stephanie che a un certo punto si sono resi conto che il loro posto era a Palermo, nel laboratorio di via Bara della famiglia Cuticchio. Così i pupi sono tornati, quasi tutti: Antoine e Stephanie, ne hanno tenuti in casa alcuni che magari un giorno faranno anche loro ritorno a Palermo.
“La speranza che i pupi potessero ritornare nel teatrino di Palermo non mi ha mai abbandonato e così, due anni fa, dopo diversi anni dalla morte di Panunzio, i suoi figli Antoine e Stephanie, consapevoli che quei pupi erano rimasti inanimati per troppo tempo e che avevano bisogno di mani esperte e amorevoli, decisero che sarebbero tornati a Palermo perché potessero rivivere nel loro luogo naturale: il palcoscenico del teatrino dei pupi. Finalmente chiudevo un capitolo lungo oltre 50 anni e ne aprivo un altro, quello del restauro e della manutenzione, che si sa quando inizia, ma non quando finisce”, dice Mimmo Cuticchio.
Non appena Cuticchio e Tania Giordano, costumista e scenografa del teatro, hanno cominciato a spogliare i pupi, si sono resi conto che le imbottiture erano diventate stracci fradici e inutilizzabili. Probabilmente, allo scopo di contrastare i tarli, qualcuno le aveva impregnate di un prodotto che aveva avuto solo il risultato di rovinare le stoffe. “Le vesti, a seconda della stoffa – racconta Cuticchio – sono state pulite con acqua o con lavaggio a secco, trattate con antitarme e poi consolidate là dove erano lacerate. Anche le armature di alpacca, ottone e rame sono state smontate pezzo per pezzo e sono state recuperate le tratte di giunzione. Spalline, faldine, braccialetti, elmi, corazze sono stati puliti a mano con spazzole d’acciaio e carte abrasive che tolgono lo sporco senza danneggiare il metallo; le parti staccate, cerniere, borchie, arabeschi, sono state ripristinate con il ferro a caldo e saldate con lo stagno come si faceva una volta e come è giusto che si continui a fare. Abbiamo controllato ogni ossatura, ogni testa, abbiamo otturato ogni buco con lo stucco derivato dalla polvere di segatura impastata con colla forte, come si faceva anticamente. L’imbottitura è stata ripristinata e montata non più attraverso chiodi ma con cordini, in modo da spogliare il pupo velocemente per un eventuale controllo. I ferri sono stati ripuliti, i manici, danneggiati dai troppi tarli sono stati sostituiti con altri manici fatti al tornio nello stesso stile e nello stesso legno di quelli originari”.
Dopo mesi di duro lavoro sono stati restaurati 56 pupi tra cui Carlo Magno, Orlando, Rinaldo, Terigi, Gradasso, il Gigante a cui si spacca la faccia, Febore, Salatiello della Libia e lo Spaccato verticale, i tre fratelli Spagnoli, due soldati neri e due soldati bianchi, il conte Rampaldo, un carceriere, un contadino, un brigante, un pellegrino, Gano di Magonza, Orlando e Rinaldo giovani, una Monaca, Aldalabella, il corpo nudo di Ruggiero dell’Aquila Bianca, i maghi Merlino e Malagigi, i diavoli Nacalone e Calcabrino, un satiro a quattro facce, un satiro a tre teste, un drago e un serpente, Vegliandino, il cavallo di Orlando e Baiardo il cavallo di Rinaldo, due angeli. “Li guardo – dice Cuticchio – e non riesco a nascondere la felicità di riaverli con me, e anche loro mi sembrano molto compiaciuti di ritrovarsi in teatro, con tanta voglia di raccontarsi. E chissà se la sera, quando chiudo il teatro, loro si riuniscono con i pupi della nuova generazione per raccontarsi cosa è accaduto in questi 50 anni di allontanamento forzato”.