“Le mostre presuppongono una passività, con lo spettatore che guarda. Questo vuole essere un racconto, perché bisogna in qualche modo essere immerso nelle storie che le opere narrano. Queste sono opere non da guardare, ma da abitare”.
Così il curatore Danilo Eccher descrive “Crazy. La follia nell’arte contemporanea”, l’esposizione visibile a Roma nello splendido spazio rinascimentale del Chiostro del Bramante fino a domenica 8 gennaio 2023 (dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 20, sabato e domenica fino alle 21). Un progetto creativo davvero imperdibile, come del resto lo sono stati anche i tre precedenti curati da Eccher: “Dream” (2018-2019), “Enjoy” (2017-2018) e “Love” (2016-2017).
“Il concetto di Crazy – riprende Eccher – nasce dal fatto che si abitano le follie degli altri, e nel momento in cui ci si confronta con le follie degli altri si esprimono anche le proprie follie. Questa è la sfida che lanciamo al pubblico: diventare parte dell’opera e vivere la follia dell’artista”. Di artisti ce ne sono ben 21, di ogni parte del mondo e già affermati a livello internazionale, di cui 11 hanno realizzato installazioni site-specific inedite, create appunto per l’occasione, che hanno invaso gli spazi sia esterni sia interni.
Tra queste va anzitutto menzionata “Passi” di Alfredo Pirri: l’artista ha ricoperto il grande pavimento del chiostro con un manto di specchi frammentati, moltiplicando così i punti di vista e frantumando le immagini riflesse, dal cielo alle architetture del Bramante, ai visitatori della mostra. Da rimarcare sono anche i cinque neon del cileno Alfredo Jaar, che punteggiano il percorso espositivo come “coloratissimi e inaspettati checkpoint visivi”; le 15 mila piccole farfalle nere di carta del messicano Carlos Amorales (l’opera si chiama “Black Cloud Fashion”), uno sciame leggero ma conturbante che accompagna il visitatore sulle scale di passaggio da un piano all’altro; l’incredibile “Hypermania” dell’islandese Hrafnhildur Arnadottir (alias Shoplifter), uno scenografico corridoio interamente rivestito di capelli sintetici e colorati.
“Qui ci sono due opere fondamentali, due colonne portanti: una è ‘Ambiente spaziale’ di Lucio Fontana del 1968, l’altra è “Topoestesia” di Gianni Colombo del 1965-1970”, spiega Eccher, rimarcando che le due opere sono state ricostruite per l’occasione, ovviamente sotto le indicazioni dell’Archivio Colombo e della Fondazione Fontana. “Questi due elementi – prosegue il curatore – in qualche modo tracciano la perdita di senso: da un punto di vista sensoriale, di ottica, per quanto riguarda Colombo; dal punto di vista più spirituale, legato allo spazio, per quanto riguarda Fontana. Sono queste due opere a sostenere l’impianto teorico e concettuale della mostra, e in mezzo a queste due colonne si sono sviluppati i racconti degli altri artisti”.
È davvero impossibile dedicare anche poche righe a tutte le opere, perché sono tutte profonde, evocative, immaginifiche. Compongono un universo creativo di rara bellezza, da esperire in un tempo saturato di partecipazione e condivisione. Tra i diversi spazi del Chiostro del Bramante l’energia così passa dalla colata di vernice colorata sulla scalinata del britannico Ian Davenport ai grandi fiori sgargianti per farfalle monarca della statunitense Janet Echelman, dall’inconscia cabina-armadio della bolognese Sissi all’irreale soffitto crollato dello svizzero Thomas Hirschhorn, dalle maschere africane in cristallo e vetro del camerunense Pascale Marthine Tayou alle sorprendenti sculture iperrealiste dei cinesi Sun Yuan e Peng Yu. Opere che lasciano il segno, che riaffiorano alla mente nei giorni seguenti, per una mostra davvero imperdibile.