Un tempo di riflessione, di quiete, di ascolto di sé: agli spettatori Bill Viola chiede questo. Un tempo di concentrazione per immergersi nelle sue immagini dilatate, i micromovimenti dei volti, la dettagliata esplorazione della condizione umana. “Icons of light” è una mostra che va assolutamente vista. L’appuntamento è a Roma, fino al 26 giugno prossimo, nel secentesco Palazzo Bonaparte (nella centralissima piazza Venezia), che nella prima metà dell’Ottocento fu dimora di Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone.
Le installazioni scelte per l’esposizione mostrano l’intero percorso dell’artista newyorkese (ma ormai californiano), oggi 71enne, riconosciuto a livello internazionale come il pioniere della videoarte. La tecnica dello slow motion per indagare il presente in tutta la sua espansività, le visioni del fuoco e dell’acqua che riportano al primitivo, le persone come presenze silenziose nello spazio, la dimensione onirica e spirituale che avvolge ogni sua realizzazione: tanto si può dire della sua poetica, e tanto è stato scritto. È bene, allora, provare a far parlare le opere.
Ad aprire la mostra è “The reflecting pool”: video di sette minuti, a camera fissa, creato da Bill Viola tra il 1977 e il 1979. “Un uomo emerge da un bosco e si ferma davanti a uno stagno”, ha spiegato l’autore in un’intervista: “Improvvisamente salta, in quel momento il tempo si ferma. I movimenti e i cambiamenti visti nella scena immobile sono limitati ai riflessi e alle increspature della superficie dell’acqua. L’opera è una riflessione sull’arrivo dell’individuo nel mondo della natura, un battesimo in un mondo di immagini virtuali e percezioni indirette”.
Nella stanza seguente troviamo due video. Il primo è “Ancestors” del 2012: girato nel deserto del Mojave, mette in scena una madre e un figlio che camminano in un paesaggio torrido. Si avvicinano lentamente allo spettatore: come in un miraggio, le loro figure sono avvolte nella polvere e nelle esalazioni del calore. Solo alla fine si vedono compiutamente, dando a chi guarda un forte sentimento di serena resistenza. Il secondo è “Study for the path” del 2002, un trittico di video a loop. “La prima luce del mattino svela un flusso compatto di persone che si muovono lungo un percorso attraverso la foresta”, ha spiegato Bill Viola: “Arrivano da tutte le età della vita, ciascuno percorrendo il sentiero alla sua velocità e col suo modo unico. Non c’è inizio né fine nella processione degli individui – essi stanno camminando già a lungo quando li vediamo qui, e cammineranno ancora a lungo dopo che avranno lasciato la nostra visuale”.
La “processione di individui” si ritrova nel meraviglioso “Observance”, video a colori di dieci minuti del 2002. Diciotto attori sono raffigurati in una fila molto stretta, vestiti con abiti dai colori fortemente saturati. Uno alla volta vengono in primo piano e guardano “qualcosa che preferirebbero non vedere, per dire addio a qualcuno che li ha lasciati”. Sui loro volti silenti si evidenziano occhi lucidi, intime malinconie, un caleidoscopio di strazianti emozioni. Alcuni si danno conforto l’un l’altro, alcuni restano chiusi in se stessi: un ciclo di dolore che lascia lo spettatore turbato e sopraffatto dalla commozione.
Le opere selezionati per la mostra sono 15, rappresentative di oltre quarant’anni di lavoro, ed è impossibile dedicare spazio a tutte. Ci limitiamo qui a citare il dittico in bianco e nero “Unspoken (Silver & Gold)” del 2001, dove un uomo e donna “sopportano silenziosamente stati di estrema angoscia”; il rinascimentale “The greeting”, video presentato alla Biennale di Venezia del 1995, ispirato a un celebre dipinto cinquecentesco del Pontormo, dove una scena quotidiana di pochi secondi, come l’incontro di tre donne, viene dilatata in maniera estrema fino a dieci minuti; il meraviglioso “Three woman” del 2008, video di nove minuti dove una madre e le sue due figlie compiono una trasfigurazione passando, attraverso un diaframma d’acqua, da uno spazio grigio e sfocato a un mondo di luce, colori e carne viva.
Ma due menzioni vanno assolutamente fatte. La prima è per “Ascension”, un video di dieci minuti del 2000. Un campo d’acqua blu scuro, tagliato da un raggio di luce caravaggesca proveniente dall’alto: all’improvviso un uomo, completamente vestito, vi si butta dentro e lentamente sprofonda negli abissi, uscendo fuori dal campo visivo, con le braccia stese come un cristo crocifisso, tra miliardi di bollicine d’aria bianchissime che progressivamente occupano l’intera scena.
La seconda, contenuta nell’ultima stanza della mostra, sono i quattro video (ognuno della durata di sette minuti) della serie “Martyrs”, dedicati agli elementi primordiali. Un uomo sepolto vivo (terra), una donna scossa dal vento (aria), un uomo avvolto dal fuoco, un uomo appeso a testa in giù sferzato dall’acqua. All’inizio i quattro individui sono fermi, statici: lentamente ogni elemento naturale inizia a disturbare la loro calma, con sempre maggiore violenza, ma senza far crollare la loro incredibile determinazione. “Quattro testimonianze della capacità umana – ha spiegato Bill Viola – di sopportare la pena, il sacrificio e persino la morte, pur di rimanere fedeli ai propri valori, credenze e principi”.