Ancora una pregevole raccolta nella collana “Il Pendolo d’Oro” di Guido Miano Editore: si tratta del primo volume dell’Opera Omnia della scrittrice ticinese Valeria Masoni-Fontana (1925- 2020), con le poesie da lei scritte nell’arco di una quindicina d’anni, considerato che la prima data che compare in calce alla quinta di esse è “novembre 1944” (Un non senso, p.21) e che l’unica sua raccolta edita è Per quel che non muta (Lugano, 1957). Si tratta, dunque, di poesie in gran parte inedite: solo alcune sono state pubblicate in giornali e riviste ticinesi. La Masoni-Fontana si è dedicata alla scrittura a lato della sua professione di avvocato – prima donna ammessa all’albo degli avvocati del Canton Ticino – ed ha scritto in prosa parecchi racconti di memorie familiari e d’infanzia pubblicati quasi settimanalmente dal 1978 al 1981 sulla “Gazzetta Ticinese”.
Nella ricca Prefazione al volume, Enzo Concardi traccia un esauriente ritratto artistico
dell’autrice, che nelle sue personalissime poesie ci offre eco di Pascoli e Rebora, di Ungaretti e Montale, e tratti che alludono a Pavese ed alla poesia-prosa. L’opera si sviluppa in undici parti, seguendo l’ordine cronologico ricostruito dai familiari della scrittrice, che ne hanno recuperato i manoscritti offrendoceli come dono prezioso e corredato da utilissime note, che rivelano come molti versi siano stati rivisti e corretti nel tempo – e infatti a volte compaiono in versioni leggermente differenti nelle diverse parti di quest’Opera Omnia. Chiude il volume la rassegna bio-bibliografica, cui l’Editore ci ha abituato, a renderlo non solo godibile per il lettore, ma anche appetibile per lo studioso.
Se si cerca un fil rouge che unifichi i versi scritti dalla Masoni-Fontana, credo si possa trovare nella ricerca del senso della vita a partire dai particolari, anche i più minimi, che la costellano (si legga ad esempio E tu terra… p.112). Nascono così versi su molti temi, alla ricerca di una consapevolezza di vita che talvolta è amara (come in quelli frammentati di Consapevolezza: “Sapevi / ch’era finita / ma i passi / muovevi / ancora / incerti / a compier / la via / che più non / vedevi”, p.132), talvolta attonita (come in Non pensare: “Non pensare / se mentre mi lasci piango, / in silenzio che non si / strugge per te. / Perché soffrire? Perché mentire? // Fiorita d’illusioni / che il vento sperde / ad una ad una, / la vita” p.26), raramente gioiosa. Affiorano Inquietudini (titolo della IV parte): “Ascolta, mi sento più forte / l’anima, più dure le mani, / più strette le labbra nell’aspro cammino. / Ma gli occhi / che un tempo miravano lieti / il ridente domani, / gli occhi, oggi, si velano. / E vedi, io sollevo le mani, / le mani che sono più dure / e le poso sugli occhi, / (che pur son
velati), / per non vedere” (Ma gli occhi… p.92). Timore della vita e del domani che emerge anche da altri testi, come Ora sacra (p.95) e Sentiero (p.98) e Morsa di farmaco (p.99). A volte l’autrice descrive senza osservazioni ciò che quasi fotografa in poesia, come in Cenere (p.106). Forse tale “descrittivismo puro” allude ad una sospensione di giudizio su ciò che accade nella vita, il cui senso a volte sfugge e fa pensare “al sapore terroso / del grigio domani / nella mia amara bocca / … al sapore di cenere” (finale di Riverbero, p.115), e sembra preludere alla nostalgia di un ritorno vagheggiato e temuto al tempo stesso: “Forse perché nell’anima / mi piange il tuo sole, / dolce mia terra, / nel cupo grigiore / di nebbie voraci / io vedo / io vedo oscillare / il grappolo d’oro / d’un tuo fiore flessuoso / ……. / E non v’è più rigidezza / nelle nere rotaie / che da ore perseguo” (Ritorno,
p.127). Tutto denota la ricerca di un ubi consistam, che caratterizza la produzione dell’autrice: lo nota Guido Miano, nel finale della Premessa all’opera: “i suoi risultati migliori sono nel fondere sogni e sensazioni del passato con le immagini spesso grigie della quotidianità in un impasto crudele nei confronti del quale sembra provare attrazione e repulsione”; i suoi versi sono davvero “animati da particolare tensione spirituale, dall’attesa fidente che un soffio vitale illumini il mistero della nostra vita” (p.7). Comunque, versi che ci aprono anche al sorriso: “Sorriso sì lento / schiude le labbra / e non sai / se ricordo di gioia vissuta / o ansia di gioia sperata…” (Sorriso sì lento, p.84), pur se riaffiora sempre l’ansia di verità che abita di domande ogni cuore: “Ora che solitudine / non mi è più amica / in essa io mi scavo. // Sarò domani più vera?” (III parte di Da trame di gioia, p.176).
Si trovano tante cose in questa raccolta di poesie di Valeria Masoni-Fontana: osservazione,
descrizione, riflessione, a volte timore, qualche rimpianto e qualche pianto, e sorrisi. Insomma, squarci di un tratto di vita di chi questa vita la voleva capire ogni giorno di più, offerti ad una lettura che ci interroga profondamente ma pacatamente.
Marco Zelioli