Accolto nel foyer dai fratelli del titolo vestiti alla foggia dei pionieri del favoloso West e armati di fucili e altri mezzi di difesa, il pubblico delle grandi occasioni è fagocitato nel clima del cinema di frontiera che ha narrato le gesta dei personaggi del XIX secolo.
Dopo i titoli di testa proiettati sul fondale con i caratteri tipografici dei film western di tradizione, il sipario si apre sull’interno di una locanda dove la giovane Milly serve gli avventori nell’Oregon del 1850. Adamo Pontipee è sceso dalle montagne per vendere delle pelli e rimane colpito da quella efficiente cameriera, che ritiene possa essere la moglie giusta per lui. La proposta di matrimonio viene subitamente accolta, nonostante le perplessità della comunità, e Adamo porta la mogliettina nella sua fattoria. L’ingenua ragazza deve prendere atto che la casa è mal messa e sei fratelli fanno da cornice alla loro vita coniugale che non si prospetta affatto idilliaca. Adamo è esigente e patriarcale, ha bisogno di una donna che cucini e accudisca i fratelli minori e non c’è spazio per le romanticherie.
I boscaioli Beniamino, Caleb, Daniele, Efraim, Filidoro e Gedeone (i nomi sono stati attribuiti in ordine alfabetico) sono zotici, selvatici e rissosi e Adamo non intende addomesticarli. Milly non si perde d’animo e con tatto e dolcezza induce i cognati a lavarsi, sbarbarsi e affinarsi, dopodiché potranno partecipare alla annuale festa campestre. La festa è un tripudio di balli coreografici, acrobazie e risse con i giovani maschi del luogo, ingelositi dalla concorrenza. Tornati al ranch i sei fratelli piombano nella tristezza perché si sono innamorati delle ragazze, Adamo è sempre più scorbutico e, dopo aver suggerito ai fratelli di rapire le fanciulle traendo ispirazione dagli appunti sul ratto delle Sabine da parte degli antichi Romani sbirciati in un libro di Milly, si isola nella baita in montagna.
Trascorso l’inverno in casa con l’amica Milly, le giovinette non intendono più tornare dai genitori ma vogliono sposare i loro spasimanti. Con la primavera arriva il lieto fine, benedetto dalla nascita della bambina di Adamo e Milly.
L’amore, la dolcezza e la tenacia trionfano così sulla ruvidità, sul machismo e sul falso perbenismo.
La versione teatrale di Sette Spose per sette fratelli, commedia musicale di Luciano Cannito dal film diretto nel 1954 da Stanley Donen con Jane Powell e Howard Keel rievoca le atmosfere del West End grazie alle scenografie mobili di Italo Grassi che ne ricreano l’ambientazione, e ai variopinti e allegri costumi di Silvia Aymonino che disegnano un tripudio di arcobaleni nello svolazzare delle danze.
Diana Del Bufalo e Baz, nuova coppia del teatro musicale italiano, esprimono molto talento musicale e recitativo negli entusiasmo amorosi e nei dispettosi rabbuiamenti, contornati da una schiera di 22 attori, ballerini e acrobati scoppiettanti e travolgenti che occupano la scena con la bellezza estetica dei costumi e la spettacolarità delle coreografie acrobatiche.
La regia e coreografia di Luciano Cannito ci restituisce le atmosfere dell’epoca con uno sguardo ai personaggi ed alle ambientazioni del mondo ironico dei western di Quentin Tarantino. La direzione musicale è del maestro Peppe Vessicchio, su libretto di Lawrence Kasha & David Landay, liriche di Johnny Mercer, musica di Gene de Paul, canzoni aggiunte di Al Kasha e Joel Hirschhorn, luci di Alessandro Caso.
Tania Turnaturi