Teatro Oberon, si presenta la stagione
teatrale 2023/2024
Dopo un grande successo per la prima stagione teatrale del Teatro Oberon, si accendono i riflettori sul palco, per la seconda stagione del teatro di Napoli.
Anche quest’anno la direzione artistica è stata affidata ad Adriano Fiorillo che dichiara: “Dopo un interessante successo di pubblico della scorsa stagione, con tutti gli spettacoli sold out, non potevamo far altro che mettere su per il nostro pubblico una seconda stagione con la sperimentazione, con delle novità ed alcuni graditi ritorni”.
La programmazione del Teatro Oberon sarà in scena da Ottobre 2023 a Maggio 2024 con gli spettacoli segnalati di seguito.
Il 21 e il 22 Ottobre sarà in scena “Profondoblù” con Francesca Fedeli e Giulia
Piscitelli. Nel mondo accadono avvenimenti talmente assurdi da non poter essere
spiegati con le parole. Tra questi avvenimenti indicibili c’è il modo in cui, in
Argentina, negli anni ’70 del secolo scorso, 30.000 persone sono sparite da un giorno
all’altro, letteralmente inghiottite dal mare e dalla dittatura. “Profondoblũ” è il
tentativo di spiegare, in forma poetica, questa pagina nera della nostra storia: la
tragedia dei desaparecidos. La storia è molto semplice: una reporter dei giorni nostri
è inviata in Argentina per fare delle ricerche sulla dittatura di Videla. L’editore del
suo giornale non può credere che il dittatore abbia eliminato così tante persone con
la brutale pratica dei “voli della morte”, ossia scagliandole da aerei in volo giù nelle profondità dell’oceano; e, a dire in vero, anche la reporter non ne è del tutto persuasa. Raccoglierà, quindi, quante più testimonianze pur di riedificare la figura di Videla, perché in Argentina, ancora oggi, sono in molti a sostenere che “quando c’era lui si stava meglio” (suona familiare, vero, questa frase?). La ricerca, quindi, sembra andare in questa direzione, finché la nostra giornalista non incontra una strana figura, una figura
che sembra provenire da un altro mondo (un essere umano? Un extrater res tre? Un fantasma?) e che, finalmente, le farà aprire gli occhi sul mondo e sulla verità.
Il 4 e 5 Novembre ci sarà Roberto Azzurro con “L’arte di Bonì”, tratto dalle
memorie di Boniface de Castellane. Nel 1925 il conte Boniface de Castellane pubblicò
a Parigi L’arte di essere povero, un libro di memorie che prendeva l’avvio dal
divorzio dall’ereditiera americana Anna Gould. Considerato tra gli uomini più
eleganti del suo tempo, dilapidò le ricchezze della moglie per comprare abiti di lusso,
oggetti d’antiquariato, cavalli e castelli, e per costruire quel Palais Rose dove il “Re
di Parigi” dette feste che sarebbero rimaste nella storia della Belle Époque. Eppure,
dietro la maschera del dandy, c’era in Bonì una mente lucidissima. Viaggiatore,
collezionista, mercante d’arte, Boni fu anche un politico acuto e vivace. E dunque,
mentre il pianoforte contrappunterà tutta la spettacolare conferenza, storicizzando le epoche con un repertorio che esplode tra Chopin e Bach, tra Dvorak e Mozart, ecco che si spengono le luci e, in abito da sera, come un attore di un immaginario circo/cabaret, appare Marie Ernest Boniface Conte de
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Castellane, passato alla storia come Bonì le roi de Paris. E in questa immaginaria conferenza-spettacolo
ripercorre la sua vita dorata e quindi il tempo della crisi, che va vissuto – ci dice – tenendo a mente le
semplici regole de L’arte di essere povero: perché se nascere ricchi è una fortuna, solo essere poveri può
diventare un’arte.
Il 16 ed il 17 Dicembre tocca a Gianluca Cangiano e Roberto Cardone, che con la
regia di Niko Mucci, portano in scena “Io che ho amato solo te”. Una commedia sulla
scelta di essere monogami, una divertente riflessione sulla possibilità nella nostra
epoca di avere una sola relazione stabile e continuativa, un confronto fra due modi
di intendere le relazioni affettive, nell’ambito della stessa famiglia. Due fratelli,
diversi per scelte di vita, modi di pensare e storia personale, pur avendo condiviso
la giovinezza, si confrontano durante un appuntamento in un club esclusivo della
buona società, mettendo in discussione in un continuo gioco di ribaltamento dei
ruoli, le proprie scelte etiche e la Storia personale di ciascuno, ma perché questo
appuntamento voluto da Filippo? Giacomo il maggiore, nel cercare di capirlo, mette continuamente in imbarazzo il fratello più moralista e sfugge i tentativi di giungere al dunque nella definizione del loro rapporto. Un continuo duello verbale di rimproveri e tentativi di chiarimenti mette a dura prova l’affetto che comunque provano l’uno per l’altro. Sino alla confessione di Filippo, che rivela il vero motivo dell’organizzazione dell’incontro… Dialoghi serrati e momenti di esasperazione, fanno da sottofondo ad una analisi dei comportamenti e delle idee di una generazione, che già si sente fuori tempo, che resiste
a idee e comportamenti che non gli appartengono, ma ne vengono comunque attirati e risucchiati, senza avere gli elementi per capire…
Il 26, 27 e 28 Gennaio con la drammaturgia di Fortunato Calvino e la regia di
Adriano Fiorillo, arriva Fabio Brescia in “Lourdes”. Giochi di luce in armonia col
movimento faranno da cornice al testo di Calvino, un testo ironico ma allo stesso
tempo amaro, come amaro è il periodo che abbiamo vissuto, la scommessa è quella
di trattare l’argomento Covid19 a distanza di poco tempo dalla sua disfatta, la lotta
interiore che ognuno di noi ha dovuto affrontare uscirà all’esterno attraverso la
performance di Fabio Brescia, che restituirà al pubblico, con la sua poliedricità di
attore, gioie e dolori di uno dei periodi più catastrofici dell’umanità. Tutto questo
tramite la storia di una donna nella sua casa durante la quarantena, raccontata
minuziosamente da Calvino, la regia mira a dare immagine alle parole di Calvino, che ha saputo cogliere le sfumature della quotidianità di quel periodo, Una casa che diventa teatro di sogni, paure, desideri, nuove abitudini, con la solitudine che la fa da padrone, conviventi che diventano estranei, telefoni che diventano partner e leder indiscussi, gli unici veri portoni sulla realtà, gli unici mezzi per condividere attraverso chiamate e videochiamate quel tragico momento.
L’anno nuovo riparte il 3 e 4 Febbraio con Peppe Villa in “Mi hanno chiuso fuori
dal teatro”. Lo spettacolo nasce come azione performativa in strada durante la
pandemia da Covid-19, e ha il senso di un atto di resistenza esistenziale e artistica di
un attore e insieme di una intera categoria, trovatasi improvvisamente senza lavoro
e scopertasi senza diritti. Rimasto fuori dal teatro, come tanti, Peppe Villa si arma di
un ingegno picaresco e si sperimenta in una forma teatrale nel solco degli artisti di
strada, alla quale dà però subito una connotazione simbolica precisa, scegliendo di
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agire proprio fuori dai quei luoghi chiusi, sottolineandone per contrasto la necessità primaria. Crea un menu di prosa e poesia, accessibile tramite un QR code, e si posiziona di fronte a uno dei più popolari teatri della sua città, munito solamente di un leggio, aspettando che qualcuno si fermi per recitargli qualcosa a scelta dal menu. La sua “azione teatrale” si trasforma in breve tempo in un’azione politica, diventando in qualche modo portavoce di tutti quegli artisti fermi da tempo e desiderosi di ricominciare.
Il paradosso delle regole non troppo equilibrate, con i ristoranti aperti e i teatri chiusi, viene
ulteriormente evidenziato dall’utilizzo del menu che emblematizza sarcasticamente la disparità di trattamento tra le diverse categorie. Approda ora in teatro questo esperimento fortunato e sincero, smontato e rimontato all’interno del “ciclo officina” del conservatorio popolare per le arti della scena diretto da Davide Iodice. Davanti al sipario sbarrato, che diventa un “monumento alla memoria”, il nostro indomito attore, segnato dalle disavventure ma anche dalle meravigliose scoperte che ogni crisi porta con sé, ci regala la sua sognante fragilità e un repertorio di pezzi classici e di reinvenzioni surreali,
che esorcizza una volta per tutte quella grande paura collettiva e ci restituisce un teatro diretto, immediato, che sa di strada e di profonda relazione umana.
Il 17 ed il 18 Febbraio ci sarà il racconto di Mariagrazia Rispoli, “Della storia di G.G.”
con la regia di Mariano Lamberti ed interpretato da Gea Martire. Per il taglio
grottesco e ironico che lo contraddistingue, il monologo de “Della storia di G.G.” si
può facilmente ascrivere nel registro della “black comedy”. La storia della donna che
subisce la dolorosa perdita del padre ma che prova allo stesso tempo un alquanto
irrefrenabile attrazione per l’uomo che ha il compito di sotterrarlo, si presta bene
così ad una buona dose di humour nero. L’idea è quella di rendere attraverso due
personaggi distinti queste due contrastanti emozioni all’interno della stessa persona
(dolore e piacere, lutto ed Eros), rappresentando questa sorta di sdoppiamento
psichico con due diverse personalità. Dalla rimozione del dolore della perdita si genera quindi un doppio sé che agisce, sente e vive in maniera diametralmente opposta: tanto l’uno è fragile, luttuoso e si esprime con toni veri e dolorosi, tanto l’altro è perfido, beffardo e usa toni da femme fatale di provincia. I due personaggi si alternano, si danno la mano, altre volte si fanno la guerra, in una sorta di girandola schizofrenica che si fa via via sempre più grottesca e divertente.
Per il 16 ed il 17 Marzo è previsto invece il debutto nazionale dello spettacolo comico
“‘A Gravidanza… secondo me!”, di e con di Giusy Freccia. “‘A gravidanza… secondo
me!” è il one woman show di Giusy Freccia, energica attrice dal forte carattere
comico. Lo spettacolo racconta le fasi della gravidanza ed aiuta a riflettere sulla vita
quotidiana di chi il teatro lo vive tutti i giorni. Tra i vagheggi dello stato interessante,
le responsabilità e le aspettative di lui, l’equilibrio tra stereotipi e impegno, lo show
diventa inesorabilmente qualcosa di comico che rende i nove mesi leggeri da
superare (per chi lo vede lo spettacolo). Non ci sono afflati da teatro psicologico, e a
farlo capire è proprio il “…secondo me” del sottotitolo, che con satira crea la
canzonatura di un genere che potremmo definire “di vita vissuta”. Ed è in “‘A gravidanza… secondo me!”, che Giusy Freccia racconta la donna, ma con l’ironia di chi vorrebbe vivere quel periodo da uomo. Un intermezzo comico tra attesa, travaglio interiore, forte responsabilità, l’arrivo di un figlio voluto. I capitoli da cui è composto lo spettacolo partono dalle modalità di metterlo al mondo in maniera “terrorizzante”, passando per quello che regalano i nove mesi, con la consapevolezza che non si può affrontare una gravidanza da sola perché i consigli “di tutti” diventano echi quotidiani, e soprattutto, i
periodi di una donna in preda a momenti di irritabilità inespressa (o troppo espressa) e sensi di colpa;
la sua voglia di libertà a quella di non volersi staccare un attimo dalla sua creatura nel pancione. Uno spettacolo che vale “la dolce attesa” di essere visto in scena!
Il 6 e 7 Aprile, arriva Paolo Faroni con “Perle ai porci”, che ne cura anche la regia.
Lo spettacolo è composto da più pezzi auto-conclusivi su diversi argomenti:
economia e politica, famiglia e religione, società e costume, ma anche considerazioni
private e scampoli di autobiografia. Filo conduttore è il punto di vista satirico che li
collega, proprio come il filo in una collana di perle. Una satira che gioca su più livelli:
talvolta sottolineando le assurdità già presenti nella realtà – come il bambino che
denuncia la nudità del re – talvolta sovvertendone i canoni per fare venire alla luce
contraddizioni ai limiti del ridicolo. Dopo decenni di impoverimento di questo
genere ad opera dei media vecchi e nuovi, cosa vuol dire essere comico oggi? Nel
tempo abbiamo abdicato alla comicità a teatro, cedendo alla visione semplicistica che la televisione e internet hanno diffuso. L’abbiamo data per spacciata e gli stessi attori e autori se ne sono per lo più tirati fuori, lasciando spazio agli improvvisati. Si può produrre ancora una comicità sufficientemente intelligente da lasciare interrogativi e riflessioni al pubblico? Una comicità che nasconda pensieri acuti capaci di resistere nella mente e nel cuore dello spettatore così che lo spettacolo non sia soltanto intrattenimento? Perle ai porci si chiede questo e cerca di dare una risposta. Se state pensando che le perle siano i pezzi e i porci siano il pubblico, siete nel giusto. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Il 27 e 28 Aprile in scena il trio composto da Roberta Astuti, Sara Missaglia e Chiara Vitiello per “Tre.
Le sorelle Prozorov”, liberamente tratto dall’opera di Anton Cechov e la regia di
Giovanni Meola. Tre. Le sorelle Prozorov. In Cechov. Tre allora e tre ora. In noi. Loro,
solo loro, nonostante la folla di tutti gli altri personaggi. Con un po’ di Irina in Masha
e Olga e un po’ di Masha e Olga nelle altre due e tutte e tre ad esser le facce di uno
stesso solido a più facce. Come erano, come sono, come saranno. Accompagnarle,
affiancarle, ascoltarle. E accompagnandole, scoprire, ricordare, riportare al cuore
della faccenda. Di allora e di ora. “A Mosca! A Mosca!”: il mantra, il grido di battaglia,
simbolo di un passato solidificato e bloccato nell’ambra della memoria paralizzante,
simbolo di un futuro che si vorrebbe accadesse ma che evidentemente non accadrà.
Mai. O accadrà senza rendersene conto? La potenzialità dell’accadere che non accade. L’accadere che tradisce la potenzialità e accade. Così, semplicemente. Le tre sorelle sono in ciascuno di noi, nelle infinite sliding doors che le maschere del nostro quotidiano ci mettono costantemente davanti. O addosso. Chiude la stagione 11 e 12 Maggio lo spettacolo “Opatapata”, una riscrittura della tempesta di William Shakespeare con Roberto Azzurro, Fabio Brescia ed Adriano Fiorillo, con Tom Tea al pianoforte. La tempesta è l’ennesima, strabiliante, affascinante declinazione del tema centrale dell’opera del Bardo e della vita
dell’uomo: il Potere. L’essere umano non è mai pronto al cambiamento della propria
natura, e dunque nella Tempesta Shakespeariana Prospero ristabilisce, con nuovi
personaggi e nuove figure dell’isola che lo accoglie naufrago, una dimensione di
vittime e carnefici, di prepotenze e disguidi affettivi, pur di riportare se stesso al
centro di un meccanismo di potere – unico obiettivo dell’uomo di tutti i tempi e i
continenti, dell’uomo antico e dell’uomo moderno, di antichi teatrini di corte, e di moderni teatrini di regimi attuali. E così si assisterà, in questa Versione iperbolica, a un gioco surreale e dissacrante, verbalmente psichedelico ed emotivamente psicanalitico. Così come è sembrato inevitabile cercare – e quasi subito trovare – un titolo che potesse chiarire quello che era la matrice del progetto, messo in scena da tutti artisti napoletani, ed ecco che appunto la lingua napoletana è venuta – come accade oramai spesso in teatro – in aiuto, e la parola perfetta si è presentata con la naturalezza della verità e la sfrontatezza di un evento immantinente. Potevamo mai non titolare così una riscrittura forse farsesca e
forse tragica de La tempesta? Opatapata a tutti i costi. La storia dunque si snoda comunque tra il tentativo di riacchiappare quello che eravamo, di ristabilire un passato che ci piaceva e a cui non vogliamo rinunciare, di non riuscire ad accettare insomma il cambiamento, nel ritrovarci in una nuova dimensione, tentiamo inevitabilmente di ristabilire precedenti equilibri, vecchie consuetudini, nella difficoltà di accettare intollerabili “modernità”. Ecco dunque come in un caleidoscopio verbale appunto, i tre attori “entrano e escono” nei molteplici personaggi, e nello stesso diventano narratori e affabulatori,
e come in una folle iperbole parlante, come prestigiatori di versi apparentemente composti all’istante, ma in realtà, invece, generati da radici e stratificazioni di un tradizione teatrale antica e eterna, pronta a farsi meta-teatro e fantasia. Ecco, parliamo dei versi. Il riferimento è giustappunto la lingua napoletana, che è la lingua di tutti gli artisti artefici di questa messinscena, e i versi sono l’inevitabile e irrinunciabile musicalità propria di questa lingua, ovviamente intercettata dal punto di vista contemporaneo, che affonda i suoni in musicalità e sintassi e vocabolari contemporanei, del popolo, della natura più semplice,
forse, e più profonda di una lingua che si adatta a qualsiasi storia, che si presta anche a una narrazione/ riscrittura di partiture e storie antiche ma eterne. E brevi incursioni le fanno Eduardo con la sua Tempesta. E Leopardi, che tanto legame ebbe con Napoli e con le tempeste. E La tempesta di Shakespeare ancora oggi può svelarci qualcosa in più come tutte le grandi opere d’arte. E allora Prospero diventa il simbolo del potere appunto a tutti i costi, Ferdinando la gioventù che sconta un peccato non voluto, Miranda l’innocenza spuria, inadeguata, claudicante e sfrontata, violenta e sarcastica, sorprendente e
inaspettata. E la musica attraverserà drammaturgicamente la storia e le invenzioni, la narrazione e via via le divagazioni che ci trasporteranno dentro musicalità note e solenni, ma anche popolari e ironiche.
Un’opera rinnovata e dunque fortemente “sonorizzata”, che spazierà da un repertorio aggiornato e ritrattato, fino a composizioni originali di stupefacente originalità e famigerata fantasia. E rispettato sarà anche il lieto fine, inaspettato, imprevisto, ma come sempre auspicato. Stiamo a vedere, insomma, se finalmente questa storia di tradimenti e depistaggi, di vendette e amori, riuscirà a raccontarci, in questa versione così audace, qualcosa che ci possa ancora affascinare e stupire. Vediamo se come sempre
accade, soprattutto in natura, anche stavolta una tempesta, come sovente accade, riuscirà a farci vedere più chiaro.