La stagione del Teatro Argentina 2011-2012 punta a raccogliere i fermenti più vivi del classico, senza escludere alcuni tra i più coerenti “nuovi approdi” della scena italiana, cui il primo teatro della Capitale è giusto non neghi ospitalità.
Nel segno del rinnovamento dei grandi miti del moderno, la stagione si apre con Marco Paolini che torna a Galileo (Itis Galileo, scritto con Francesco Niccolini) attraverso uno spettacolo che interpella lo spettatore e pone a lui gli interrogativi più cruciali inerenti al rapporto tra fede, ragione e superstizione. Ideale approdo d’una riflessione sulle s-ragioni di massa, Dopo la battaglia di Pippo Delbono (produzione Teatro di Roma, ERT, Théâtre du Rond Point – Parigi) fotografa in un’allucinata istantanea lo stato di comatosa follia nel quale la contemporaneità può precipitare se non sostenuta dalla fiducia nel pensiero e dalla coerenza morale. Nel medesimo solco, seppure con altre coordinate, si colloca Quello che prende gli schiaffi, la “farsa tragica” tratta da Glauco Mauri dal testo di Leonid Nicolaevic Andreev: la parabola poetica e grottesca di un clown, la quale, grazie alla grande metafora del palcoscenico, si fa specchio dei “tempi duri” che ci affliggono.
Infine, ultimo capitolo del viaggio dedicato alla scoperta del contemporaneo, il progetto The coast of Utopia di Tom Stoppard, per la regia di Marco Tullio Giordana, prodotto dal Teatro di Roma, dal Teatro Stabile di Torino e dalla Zachar Produzioni: una trilogia sulle possibilità e i destini della rivoluzione, superpremiata al suo debutto a Londra e Broadway, ora al suo primo allestimento italiano.
Accanto a questa prima quaterna introduttiva ad una rimeditazione dello “strumento teatro” in chiave etico-civile, per proseguire il viaggio nei “miti d’oggi”, la stagione del Teatro Argentina ospita grandi versioni di classici assoluti, fatti vivere grazie alla rilettura che ne offrono i maggiori protagonisti della scena nazionale. In primis, un testo capitale del canone italiano: il Teatro di Roma produce Tutto per bene di Luigi Pirandello, con la regia e l’interpretazione di Gabriele Lavia che esplora la «stanza della tortura» del grande Agrigentino spalancandone le finestre sopra il mondo che viviamo. A seguire, primo capitolo del progetto triennale del Teatro di Roma “I nostri romanzi”: Teatro a che prevede la mise en espace in capitoli de Il corsaro nero di Emilio Salgari. Ulteriore incursione nell’universo letterario nazionale sarà poi offerta da Toni Servillo che, con le sue Letture napoletane, darà voce alla “linea partenopea” di Di Giacomo, De Filippo, Russo, Viviani, Borrelli e Moscato.
Tra i classici non italiani, dopo il viatico metateatrale de Un flauto, summa della poetica di Peter Brook, per il quale le vicende di magico Tamino e Pamina sono avventure tutte interiori, sarà lo spazio del femminile ad ospitare tre grandi esempi di storie d’amore e di coscienza: Un tram che si chiama desiderio, nella lettura di Antonio Latella e l’interpretazione di Laura Marinoni per ERT, Nora alla prova, il rivoluzionario Ibsen di Luca Ronconi con Mariangela Melato e, infine, La, versione del romanzo di Virginia Woolf per la commedia di Orlando regia di Emanuela Giordano, con Isabella Ragonese.