La chiusura del Teatro Stanze Segrete a Trastevere ha costituito una grave perdita nel panorama culturale romano, tuttavia la Compagnia delle Stanze Segrete guidata da Ennio Coltorti continua la propria attività trovando ospitalità presso altri spazi teatrali.
Ed è al Teatro Arcobaleno – Teatro Stabile del Classico, che va in scena il personaggio di Shylock, l’antagonista del Mercante di Venezia di Shakespeare, nella visione di Giuseppe Manfridi, che ha rivisitato negli anni alcuni personaggi italiani shakespeariani.
In uno spazio atemporale, un giovane personaggio contemporaneo introduce la vicenda narrata dal Bardo.
Nel XVI secolo a Venezia il giovane Bassanio per conquistare l’ereditiera Porzia chiede all’amico Antonio un prestito di 3000 ducati. Il mercante non dispone di capitale avendolo investito nel carico di tre navi e si rivolge a Shylock, ricco usuraio ebreo e suo rivale in affari, cui dovrà restituire il prestito entro tre mesi. In caso di inadempienza Shylock potrà prelevare una libbra di carne di Antonio.
Shylock, disprezzato dai cristiani e acerrimo nemico del mercante di Venezia che lo insulta e presta denaro gratuitamente facendo abbassare il tasso d’interesse nella città, auspica così la sua rivalsa.
Intanto Jessica, figlia di Shylock, fugge col cristiano Lorenzo portando con sé 2.000 ducati e i gioielli. Ma le disgrazie si abbattono anche sul mercante e le sue navi affondano con le merci. Shylock esige il suo credito, è sua la libbra di carne di Antonio. In tribunale viene ammonito che se verserà anche una sola goccia di sangue, sarà considerato colpevole di aver attentato alla vita di un cittadino veneziano, i suoi beni saranno confiscati e divisi tra Antonio e lo stato, e condannato a morte. Il Doge gli concede la grazia della vita e Antonio rinuncia alla sua parte purché venga ceduta in eredità a Jessica. Infine, Shylock deve convertirsi al cristianesimo. L’ebreo è costernato, deriso e ridotto in miseria, senza aver potuto nutrire la propria vendetta.
Ma è potente il grido di dolore che lancia contro i cristiani “Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, un ebreo, organi, membra, sensi, affetti, passione? Non è nutrito dallo stesso cibo, ferito dalle stesse armi, assoggettato alle stesse malattie, curato dagli stessi rimedi, riscaldato e raffreddato dallo stesso inverno e dalla stessa estate? Se ci pungete, non sanguiniamo? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci fate torto, non dovremmo noi vendicarci? Se siamo come voi per il resto, vogliamo assomigliarvi anche in questo”.
Nella cultura cristiana dell’Inghilterra elisabettiana vigeva un clima di antisemitismo che Shakespeare traspone a Venezia, dove invece gli ebrei erano rispettati e inseriti nelle dinamiche sociali. Un decreto del 1516 aveva stabilito che tutta la popolazione ebraica doveva risiedere in un’unica parte della città e poteva gestire dei banchi di pegno ai tassi d’interesse imposti dalla Serenissima, per avere in cambio libertà di culto e protezione in caso di guerra.
Il Ghetto veniva chiuso di notte ed i canali circostanti pattugliati per evitare uscite notturne: nacque così il Ghetto di Venezia, primo in Europa.
Il personaggio contemporaneo funge da medium tra lo Shylock ormai anziano e ridotto in miseria che vive per strada e lo Shylock descritto dal Bardo, una sorta di simulacro in grado di relazionarsi soltanto con il suo alter ego con cui alterna la citazione dei dialoghi originali.
Lo Shylock reale avrà l’occasione per esternare emozioni e motivazioni profonde oltre il finale scritto da Shakespeare, in una sorta di controprocesso in cui potrà esprimere il dolore per il tradimento della figlia, che tornerà per chiedergli perdono rinnegando la sua conversione al cristianesimo, e lanciare un’invettiva contro l’odio che il mondo nutre per gli ebrei, terribile agnizione sul tragico destino di un popolo che vivrà la Shoah e non ha ancora raggiunto un orizzonte di pace.
Il medium offre una possibilità di riabilitazione davanti alla platea, che non è prevenuta anzi è disponibile ad accogliere il punto di vista dell’ebreo che dichiara di essere stato non spietato con Antonio ma inflessibile e rispettoso della legge, perché solo la legge rende credibile lo Stato, ma la Repubblica di Venezia non ha tutelato gli ebrei come avrebbe dovuto e come prevede che avverrà in seguito nel mondo.
“Ho risorse, io, che voi ignorate e contro le quali non c’è ghetto, non c’è muro. Solo un Dio, probabilmente. Ma non il vostro. Io dico il Dio del dolore e non quello della compassione. Un Dio senza progenie e che per noi significa una potente attesa. Un Dio che non scende, che non si cala, non si confonde. Che sta, e conosce senza dover sperimentare. Ignaro di miracoli. Un Dio del quale il vostro Dio è una costola. Un Dio che lo precede e gli susseguirà. Ora tu… ascolta bene quello che sto per dirti, dopodiché vattene, sono stanco: la storia dei popoli che che ci hanno perseguitato e di quelli che ci perseguiteranno verrà ricordata, nella storia delle storie del mondo, come una breve parentesi nella storia del popolo ebraico. E si dirà allora, in un mediocre compianto: “Poveri carnefici, stritolati dal giudizio dei tempi!”.
Manfridi ama le disamine psicologiche e concede a Shylock una riabilitazione e il dono della preveggenza sulle sorti del suo popolo, quale moderno Tiresia.
In alcuni passaggi di dialogo si percepiscono allusioni pirandelliane sull’essere in sé e l’essere come si appare agli altri, ma anche sull’essere come si è stati storicizzati.
Ennio Coltorti (che cura anche la regia) è un maestoso, tragico e visionario Shylock, affiancato dallo Shylock shakespeariano stralunato e robotico, impossibilitato a interloquire con gli altri essendo estrapolato dalla commedia seicentesca, impersonato da Giuseppe Manfridi. Jesus Emiliano Coltorti è il moderno medium e Adriana Ortolani la Jessica tornata pentita dal passato.
Tania Turnaturi