Torna sulle tavole del palcoscenico il testo teatrale scritto da Carlotta Corradi su richiesta della regista Veronica Cruciani, che da subito ha pensato di farne un monologo partendo dal punto di vista di Maria, la figlia di Bonaria Urrai l’accabadora di Soreni, affidato alla coinvolgente immedesimazione di Anna Della Rosa. E torniamo a vederlo, dopo qualche anno, volendo vivere l’esperienza di sentire ancora la parola letteraria di Michela Murgia risuonare in uno spazio teatrale avvolgente come l’Argentina.
Il monologo inverte la cadenza cronologica del romanzo, premio Campiello 2010. La vicenda ruota intorno ai ricordi di Maria, tornata in Sardegna da Torino per assistere l’accabadora di Soreni che l’ha cresciuta come fill ‘e anima.
Nel romanzo Maria a sei anni viene affidata dalla madre alla sarta Bonaria Urrai che all’occorrenza fa l’accabadora, cioè accelera la morte delle persone in fin di vita su richiesta dei familiari. La ragazza è profondamente amata dalla madre adottiva, ma fugge in continente quando scopre la verità, tornando soltanto per accudirla in punto di morte.
Inizia da qui la drammaturgia di Carlotta Corradi che si sviluppa intorno alle emozioni di Maria tornata in paese dalla donna che ha ammirato e le ha offerto un’infanzia felice. In un lungo flashback la giovane percorre la sua vita, da quando ultima di quattro sorelle indesiderata dalla madre naturale, viene cresciuta con amore da Tzia Bonaria e si apre alla fanciullezza prendendo consapevolezza del proprio corpo e della subdola attrazione per il cognato al matrimonio della sorella.
La figura di Tzia Bonaria, vestita di nero per il lutto di un marito mai tornato dalla guerra e la maternità non vissuta, guida la sua crescita. E, quando l’accompagnava a visitare moribondi di cui poco dopo veniva celebrato il funerale, credeva fossero visite pietose per portare conforto. Ma il folle dolore di Andrìa Bastìu per la morte del fratello Nicola che, privo di una gamba, chiedeva di morire, apre uno squarcio nella mente di Maria, che fugge a Torino.
Al momento presente è Tzia Bonaria ad aver bisogno dell’aiuto che ha offerto ad altri “tra l’amicizia e la compassione”. Una fill ‘e anima può perdonare ed ereditare il ruolo?
I ricordi di bambina e la consapevolezza di donna innescano un conflitto dilaniante sul senso ancestrale dell’essere al mondo, amplificato dalle proiezioni video che contrappongono la Maria donna ai racconti di bambina, e lei man mano si spoglia del suo colorato vestito per indossare gli abiti neri e lo scialle di Tzia Bonaria celandosi nell’ombra, in una dimensione atemporale e astratta, fino a scendere dalla pedana su cui si trova avanzando verso il proscenio, figura nera e immanente che si è fatta carico di un ruolo.
Scrive la Cruciani nelle note di regia: “Da subito ho immaginato il dialogo tra Maria e Tzia Bonaria come un dialogo tra sé e una parte di sé, tra una figlia e il suo genitore interiore. Per questo ho voluto realizzare uno spazio astratto, mentale, nel quale Maria cerca di rielaborare la morte della madre adottiva. Ciò darà origine ad un conflitto tra due aspetti di Maria: la parte rimasta bambina e la parte che deve diventare adulta. Il video mi ha permesso di rendere visibile le dinamiche emotive e relazionali tra queste due parti. La pedana sospesa crea una divisione tra l’attrice e il pubblico, è la gabbia mentale in cui Maria è intrappolata e di cui riuscirà a liberarsi soltanto alla fine, compiendo il fatidico gesto richiesto dalla madre”.
Il pubblico è testimone e giudice delle profonde radici d’amore di Maria che è figlia, sorella, bambina, madre, accabadora nonostante avesse giurato a Tzia Bonaria che non ne sarebbe stata mai capace, sentendosi rispondere “Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo. Potresti ritrovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata”.
Anna Della Rosa vibra di tensione affrontando l’evoluzione fisica ed emotiva di Maria, dalla rabbia rancorosa alla misericordiosa compassione, in un personaggio che è penetrato nelle sue corde espressive.
Tania Turnaturi