Testi scelti da Emanuele Trevi ed Elena Stancanelli, 21-24 novembre I 19-22 dicembre 2024, 13-16 marzo I 3-6 aprile I 8-11 maggio I 5-8 giugno 2025
Racconti romani è un ciclo mise-en-scène, tratto da opere letterarie di ambientazione romana, un affascinante viaggio nella parola curato nella scelta dei testi da due scrittori raffinati come Emanuele Trevi ed Elena Stancanelli. A firmare le regie delle mise-en-scène i registi Danilo Capezzani, Maddalena Maggi e Lucia Rocco.
«Con Racconti Romani vogliamo trasformare il Teatro Torlonia in un tempio della letteratura dove far vivere il rapporto tra parola detta e parola scritta. Un luogo in cui sperimentare una nuova relazione tra teatro e letteratura, che trova la sua scena a Torlonia per accogliere la parola detta e ascoltata con un teatro dalla “teatralità” minima. Invece di leggerle queste pagine vengono recitata e ambientate in maniera sobria e minimale – così commenta il direttore del Teatro di Roma Luca De Fusco – Questo è il formato che abbiamo immaginato e da qui l’idea di Racconti Romani, che avrà questo primo ciclo di 6 appuntamenti per ampliarsi e continuare nella stagione prossima, restituendo uno sguardo su Roma attraverso la topografia di opere e autori del Novecento, portatori di una parola dalla grande densità teatrale e dall’inesauribile valore letterario».
«Un viaggio in un passato recente – raccontano insieme Emanuele Trevi ed Elena Stancanelli – in una stagione indimenticabile della letteratura italiana. Un omaggio alla città attraverso una selezione di racconti, da Natalia Ginzburg ad Alberto Moravia, da Goffredo Parise ad Anna Maria Ortese, da Ennio Flaiano ad Antonio Debenedetti. Storie inventate, flânerie, sogni e incontri in una Roma appena uscita dalla guerra. Una Roma ancora un po’ incantata con angeli, ladri e mignotte, dove tutto convive con tutto e il futuro non è che un altro passato. Dove nessuno crede a niente, ma tutti sono disposti a farsi fregare, perché la vita è proprio lì, in quella distrazione. O almeno, la letteratura».
Le sei mise-en-scène, in programma dal 21 novembre all’8 giugno, sono pensate per il Teatro Torlonia, un luogo ideale per questa inedita rassegna prodotta dal Teatro di Roma, che nasce per uno spazio raccolto, dal fascino particolare, perfetto contenitore per parole poetiche.
Si inizia con Danilo Capezzani che firmerà Fogli di via Veneto di Ennio Flaiano (dal 21 al 24 novembre) e Amarsi male di Antonio Debenedetti (dal 19 al 22 dicembre), prosegue Maddalena Maggi con Sillabari di Goffredo Parise (dal 13 al 16 marzo) e Vita immaginaria di Natalia Ginzburg (dal 3 al 6 aprile), completa Lucia Rocco con Racconti romani di Alberto Moravia (dall’8 all’11 maggio) e La lente scura di Anna Maria Ortese (dal 5 all’8 maggio).
Fogli di via Veneto da “La solitudine del satiro” di Ennio Flaiano
Amarsi male da “Racconti naturali e straordinari” di Antonio Debenedetti
regia di Danilo Capezzani
Note di regia
Ennio Flaiano e Antonio Debenedetti. Due grandi della nostra letteratura, piuttosto differenti ma anche vicini nelle loro esistenze, soprattutto nel modo ironico ed allo stesso tempo malinconico di osservare il mondo, trovano in questo mio progetto un preciso punto di incontro nella città d’elezione in cui hanno trascorso la maggior parte della loro vita: Roma.
Il primo spettacolo ha ad oggetto Flaiano. Leggendo “La solitudine del satiro”, che vuole essere una raccolta di appunti, aneddoti e memorie dello scrittore, ci si imbatte ad un certo punto in una precisa sezione del libro, che è un prezioso ed avvincente capitolo: Fogli di via Veneto, per l’appunto. È il diario che Flaiano ha tenuto in quegli anni in cui, a volte da solo e a volte insieme a Fellini, passeggiava su e giù per via Veneto, a Roma, col fine di trovare ispirazione per la scrittura del film La dolce vita. Il teatro tutto, nella sua interezza, dal palcoscenico fino alla platea, in cui avviene la mia messinscena, diverrà una sorta di studio o di stanza della creazione dello scrittore stesso, che vedrà comparire accanto al proprio scrittoio persone, personaggi, incontri, situazioni e ricordi di quel tempo, divenuto poi così fortemente iconico e speciale.
La prosa di Debenedetti sarà invece il tema del secondo spettacolo. Amarsi male è una raccolta di racconti, che fa parte dei “Racconti naturali e straordinari” di Antonio Debenedetti. Amarsi male è anche il titolo che ho scelto per questa seconda parte del mio progetto, di cui è protagonista una coppia, senza età. Lo spazio è vuoto. È il loro luogo. È il luogo del loro trovarsi, ritrovarsi, e sgretolarsi. Sono dei quadri, infelici e malinconici, che raccolgono al loro interno personaggi piccolo-borghesi, cupi ma a volte anche ironici, coppie scoppiate, o forse mai ben accoppiate. Ma sicuramente dai sentimenti corrosi. Sullo sfondo di una Roma che, più che lenire, distrugge.
Vita immaginaria di Natalia Ginzburg
Sillabari di Goffredo Parise
regia Maddalena Maggi
Note di regia
L’ amore più saldo della mia vita si chiama Roma, ricordo ancora la prima volta che l’ho incontrata da bambina
col privilegio incantato di vederla da forestiera. Poi da ragazza sono diventata una sua cittadina e a poco a poco l’ho un po’ dimenticata, credevo. Un giorno l’ho abbandonata insieme all’Italia con fastidio e saturazione, ma anno dopo anno ogni volta che la rivedevo sentivo una gioia e una nostalgia sempre più grandi, fino a decidere un giorno di tornarci. Dopo molti anni, Roma era meravigliosa e identica, le persone e le cose sempre immutate in un eterno e decadente presente. Mi è parso un sortilegio e sono felicemente rientrata in una bolla dove niente mai muta, nemmeno l’amore incantato offerto alla città. La Ortese parlando di Moravia e Roma diceva “Essa a poco a poco dopo averlo a lungo fissato e reso attonito si era aggrappata a lui con tutta la sua voracità muta… Come una pianta mostruosa Roma lo aveva stretto a sé ingoiato, svuotato, assorbito… per esprimere attraverso di lui la sua morte”. Nei racconti romani di Goffredo Parise e Natalia Ginzburg, che mi sono stati affidati dal Teatro di Roma, tutto questo è magnificamente sintetizzato, amore, disamore, sortilegio e morte. Il progetto del direttore De Fusco è bello e ambizioso e fa vivere la letteratura: Credevo fossero delle semplici letture, lui invece ci ha stupiti chiedendo che ne facessimo degli spettacoli. Di Parise, ho scelto un racconto che visto in questa prospettiva è perfettamente simbolico. Una donna di mezza età sola e disillusa ma placida e blanda. Un giovane bello, folle, vanitoso, un ragazzo di vita. Un narratore, beffardo e cinico che sembra si limiti ad illustrare, invece evoca e manipola per esprimere attraverso i personaggi ignari la forza schiacciante di un destino che lui già conosce, nella sua eterna ripetizione. Una scena vuota e scarna con echi romani che progressivamente al pari dell’affabulazione si trasformerà in una entità apparentemente accogliente che assorbe, ingoia e assoggetta.
I racconti romani della Ginzburg hanno il sapore della nostalgia amorosa, la nostalgia del primo amore, la delusione di un amore grande e assoluto che improvvisamente mostra il suo lato nascosto, storto, sporco, rumoroso, ma più di tutto la nostalgia di come eravamo. In un monologo che ha diversi echi temporali e che a tratti conversa con i suoni della citta, grande diventa la delusione, si affaccia il proposito di fuggire, abbandonare, dimenticare, ma non possiamo dimenticarci di noi e alla fine “i sentimenti che ci ispirano le città che abitiamo da molti anni, dopo una lunga abitudine di convivenza, mescolano nell’affetto, insofferenza e rabbia ma questa insofferenza e rabbia non logorano l‘affetto, ma anzi lo rendono più forte, profondo e inestinguibile. Roma oggi non mi piace più e sembra non piacere più a nessuno, però tutti la amiamo perché le città, come le persone, si amano in verità per nessuna ragione.”
Non approfondire, La controfigura, Lo sciupone “Racconti romani” di Alberto Moravia
La lente scura di Anna Maria Ortese
regia Lucia Rocco
Note di regia
“La lente scura” è il titolo della raccolta che la scrittrice Anna Maria Ortese dedica ai suoi racconti di viaggio. Un continuo spostarsi da una città all’altra, per necessità o per diletto, rendendoci partecipi nella sua esperienza, con dovizia di particolari, sia sul viaggio inteso come tragitto, come transizione, sia sulla meta. Roma diventa protagonista di alcuni dei suoi racconti ed è a questi che daremo corpo e voce adoperando proprio la lente come metafora espressiva. Le lente si frappone tra lo sguardo del pubblico e la Roma degli anni ’50, attraversata durante le giornate di una calda estate che illumina di luce abbacinante lo sguardo sui luoghi e sulle persone. E, per converso, produce ombre altrettanto dense. Passeggiando accanto alla narratrice che racconta in prima persona, siamo noi stessi a inforcare gli occhiali dalle lenti scure che allenano l’occhio ad oltrepassare lo schermo di luce chiara per scoprire una moltitudine di zone d’ombra tra le cui pieghe brulica un’umanità contraddittoria, ineffabile e perennemente in pericolo: a rischio di crollare su sé stessa. La lente, che la messa in scena adotta, scruta la povertà e la miseria della città in costruzione sulle macerie della guerra, nella quale i personaggi restano a una distanza critica tale da farli fondere con il paesaggio sociale e storico che popolano. È lo sguardo blasé ma allo stesso tempo curioso della forestiera. Attratta dalla magnificenza della città eppure restia a tuffarvisi e diventare essa stessa parte del vortice urbano di colori e di suoni. Uno sguardo che si nutre di impressioni, che preferisce ricostruire per mezzo della memoria.
Ruotando la lente scura di 180 gradi, invece, lo sguardo sulla città adotta il punto di vista che Alberto Moravia adopera nei suoi Racconti romani. La messa in scena delle storie di Moravia si confronta con la possibilità di narrare Roma spiando le miserie dell’animo umano. Questo spazio immaginifico è l’habitat nel quale albergano i tre personaggi dei racconti selezionati: Non approfondire, La controfigura, Lo sciupone. Squarci di vita quotidiana nella capitale del Dopoguerra, osservati con un effetto di prossimità tale da spostare Roma sullo sfondo delle vicissitudini personali dei protagonisti. Tre storie di tre personaggi molto diversi tra loro per indole, condizione sociale e momento esistenziale, accomunati da uno stato di crisi sentimentale non più latente bensì vissuto e scandagliato mettendo al centro del racconto l’impareggiabile acume stilistico di Moravia. Alla costante ricerca dei dettagli che esprimono la sfiducia esistenziale che connota la modernità della metropoli del Novecento e i suoi abitanti, tutti inconsapevolmente legati dalla condizione storica di essere figli del Dopoguerra. Tutti diventano visibili attraverso la “lente”, forse non più definibile scura ma lente volta ad ingrandire e svelare l’alienazione e il freudiano disagio della civiltà, che prende forma nell’Italia della crescita economica. L’Italia che vuole lasciarsi alle spalle la miseria della guerra, che vuole dimenticarla per godere del boom economico, ma che lungo il tragitto rischia di perdere sé stessa.
FONDAZIONE TEATRO DI ROMA _ Teatro Argentina_ Largo di Torre Argentina, Roma – www.teatrodiroma.net
Teatro Torlonia _ Via Lazzaro Spallanzani, Roma
Orari spettacolo: tutte le sere ore 20.00 _ domenica ore 18.00 _ lunedì riposo
Biglietti: singolo evento da € 15 a € 10 – per chi vede entrambi i racconti € 8 a spettacolo