Al Teatro Quirino di Roma fino al 1 dicembre 2024
Pièce arcinota, rappresentata ininterrottamente dal 25 novembre del 1952 nel West End a Londra, oltre che in 45 Paesi con traduzione in 24 lingue, nata dalla creatività di Agatha Christie che adattò per il teatro il racconto Tre topolini ciechi, con un equilibrato mix di ironia e suspense. La stessa autrice, per giustificare tanto successo, sosteneva che il testo contenendo aspetti della commedia, del dramma e dell’horror, accontentava i gusti di tutti.
I coniugi Mollie e Giles Ralston hanno adibito a locanda la loro abitazione nella campagna inglese e attendono i primi clienti, che giungono sfidando la bufera, mentre la radio diffonde la notizia dell’efferato delitto di una donna a Londra. Inizia una girandola di siparietti, col sottofondo della filastrocca “Three blind mice” sulla musica di Paolo Silvestri, in cui ognuno esprime le sue perplessità sui padroni di casa e gli altri ospiti, rivelando le proprie eccentricità e suscitando reciproci sospetti, poiché tutti possiedono qualche elemento dell’identikit dell’assassino. Il rinvenimento del cadavere della signora Boyle semina il panico: lo psicopatico si aggira per la casa e può colpire ancora. L’arrivo del sergente Trotter con gli sci in spalla, incaricato delle indagini, genera ulteriore scompiglio, facendo emergere il lato oscuro e il segreto di ciascuno, mentre la casa è in totale isolamento essendo stati tagliati i fili del telefono.
La scena di Luigi Ferrigno, illuminata dalle luci di Antonio Molinaro, contrappone all’ambientazione un po’ retrò degli anni ’50 del salotto londinese, un’ampia vetrata sul fondo incorniciata da applique con corna di cervi che si affaccia sulle brume della campagna inglese dove infuria la tormenta intorno a un’enorme testa di cervo con corna ramificate. È la locanda del cacciatore, ultimo avamposto di ospitalità per chi è sorpreso dalla tempesta di neve, mentre il gelo penetra all’interno ogni volta che si apre la porta d’ingresso per l’arrivo del nuovo ospite che scrolla la neve sul pavimento.
In questa trasposizione, con traduzione e adattamento di Edoardo Erba, il livello di tensione non raggiunge l’acme, attratti più dall’humor inglese dei dialoghi che dalla trama, per la scelta registica di un’impostazione sopra le righe.
L’interpretazione rende tutti i personaggi fortemente caratterizzati e tendenti alla macchietta, quasi maschere dietro cui celano la propria identità. La scelta registica di Giorgio Gallione di dare un taglio attuale a questo classico del giallo, produce una messinscena che vira al farsesco.
In evidenza Ettore Bassi che conferisce al sergente Trotter una notevole dose di ambiguità e imprevedibilità. Claudia Campagnola, mogliettina apparentemente ingenua, è spumeggiante nel desiderio di apparire perfetta albergatrice; Dario Merlini è il marito un po’ inesperto con gli ospiti; Marco Casazza è aderente al personaggio del compassato e lucido maggiore Metcalf. Un po’ grotteschi gli altri: Stefano Annoni con il suo Christopher Wren, infantile e stravagante architetto con casuali momenti di saggezza e perspicacia suscita ilarità. Maria Lauria rende bene il carattere odioso della petulante signora Boyle, vittima designata. Matteo Palazzo veste i panni del vanesio signor Paravicini, col vico truccato e fortemente plastico esterna comportamenti un po’ maniacali e ripetitivi svolazzando con la sua candida pelliccia e forse mente asserendo d’aver avuto un guasto all’auto poco distante dall’hotel. Raffaella Anzalone delinea i tratti della signorina Casewell con il piglio e la grinta della donna moderna, sicura di sé e un po’ ambigua, che nasconde le sue fragilità.
Anche i costumi di Francesca Marsella occhieggiano alla contemporaneità con la testa di Topolino stampata sulla maglietta dell’albergatore, l’abito optical bianco e nero della signora Boyle, il candido pelliccione incorniciato da orecchini e rossetto del signor Paravicini, gli attillatissimi pantaloni di pelle nera della signorina Casewell, il variopinto abbigliamento di Christopher Wren.
La colonna sonora di brani dei Beatles trasmessi dalla radio, è l’ulteriore elemento di eccentrica modernità introdotto dal regista.
Scrive Gallione nelle note di regia: “Trappola per topi ha un plot ferreo ed incalzante, è impregnata di suspense ed ironia, ed è abitata da personaggi che non sono mai solo silhouette o stereotipi di genere, ma creature bizzarre ed ambigue il giusto per stimolare e permettere una messa in scena non polverosa o di cliché. In fondo è questo che cerco nel mio lavoro: un mix di rigore ed eccentricità. D’altronde, dice il poeta, il dovere di tramandare non deve censurare il piacere di interpretare. Altra considerazione: nonostante l’ambientazione d’epoca e tipicamente British, il racconto e la trama possono essere vissuti come contemporanei, senza obbligatoriamente appoggiarsi sul già visto, un po’ calligrafico o di maniera, fatto spesso di boiserie, kilt, pipe e tè”.
Tania Turnaturi