Gabriele Lavia inaugura la stagione con Tutto per bene di Luigi Pirandello e con il recital Lavia dice Leopardi. Prove aperte per gli studenti e gli allievi delle scuole di teatro.
D’autunno alla Pergola è facile….incontrare: Luca Barbareschi con la versione teatrale de Il Discorso de Re, Geppy Gleijeses, Marianella Bargilli e Lello Arena nella nuova edizione di Miseria e nobiltà, Stefano Accorsi diretto da Marco Baliani, cavalier narrante del Furioso Orlando, e a fine novembre Sebastiano Somma e Orso Maria Guerrini protagonisti del Giorno della civetta di Leonardo Sciascia.
Proseguono a novembre gli appuntamenti con Uno spettacolo di visita: visite spettacolo e percorsi storici dentro e fuori il Teatro della Pergola.
Il Teatro della Pergola è il primo in Italia a rendere disponibili i biglietti di tutti gli spettacoli in programma su Passbook grazie a Boxol.it
Ancora in corso la campagna abbonamenti: diciassette spettacoli, nove formule di abbonamento, Pergolacard e una promozione speciale. In vendita i biglietti per tutti gli spettacoli della stagione.
Ancora una volta è Gabriele Lavia ad inaugurare il 26 ottobre la stagione di prosa del Teatro della Pergola tornando ad abitare il teatro con due settimane di riallestimento e prove del Tutto per bene di Luigi Pirandello prodotto dal Teatro di Roma. Tutto il cammino verso la sera della prima potrà essere seguito e studiato in occasione delle prove aperte che verranno offerte al pubblico degli studenti degli allievi delle scuole di teatro e agli abbonati. Per il calendario completo consultare le news sul sito www.teatrodellapergola.com
Nella doppia veste di regista e interprete, Gabriele Lavia propone una delle maschere nude di Luigi Pirandello, dopo aver attraversato i caratteri di Molière è di nuovo in scena con Lucia Lavia e replica con lei il ruolo padre/figlia che già aveva caratterizzato il Malato immaginario di qualche stagione fa.
Commedia tra le più significative del drammaturgo siciliano, rappresentata per la prima volta nel 1920, Tutto per bene è il dramma di un uomo che scopre di aver vissuto una vita diversa da quella che credeva fosse. Parabola amara di un’esistenza in balia di una società finta e ipocrita: maschera tra maschere di un balletto crudele, nel “giallo” paradossale che gli uomini mettono in scena illudendosi di vivere.
Protagonista della storia è Martino Lori, un uomo di mezz’età, vedovo inconsolabile che vive i suoi giorni nel ricordo dell’amata moglie defunta e nella dedizione per la giovane figlia Palma. Ma la realtà è ben diversa da come appare. Ad eccezione del vedovo, infatti, tutte le persone che lo circondano sanno da sempre che la moglie aveva una relazione con il suo datore di lavoro, il potente senatore Salvo Manfroni, e che la sua adorata Palma è il frutto nato da questa infedeltà. La tragica scoperta della verità getta Lori in una crisi profonda, reso di colpo orfano di ogni sua certezza: “Tutto rovesciato; sottosopra. Sì. Il mondo che ti si ripresenta tutt’a un tratto nuovo, come non ti eri mai neppure sognato di poterlo vedere. Apro gli occhi adesso!”. Da figura mite e padre premuroso che era stato fino a quel momento, Lori si scopre essere un uomo senza più identità e senza maschera. Un destino crudele che Pirandello ben sottolinea con lucida ironia: “Chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita. Così è.”
Con Gabriele Lavia nel ruolo di Martino Lori, recitano Gianni De Lellis (Salvo Manfroni), Lucia Lavia (Palma Lori), Roberto Bisacco (Flavio Gualdi), Daniela Poggi (La Barbetti), Riccardo Bocci (Carlo Clarino), Dajana Roncione (La Signorina Cei), Giorgio Crisafi (Veniero Bongiani), Riccardo Monitillo (Un cameriere) e Alessandra Cristiani (Danzatrice).
Le scene sono di Alessandro Camera; i costumi di Andrea Viotti; le musiche di Giordano Corapi; le luci di Giovanni Santolamazza.
26 ottobre/4 novembre
Teatro di Roma
Gabriele Lavia
TUTTO PER BENE
di Luigi Pirandello
con Gianni De Lellis, Lucia Lavia, Roberto Bisacco, Daniela Poggi, Riccardo Bocci, Dajana Roncione, Giorgio Crisafi, Riccardo Monitillo
danzatrice Alessandra Cristiani
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Giordano Corapi
luci Giovanni Santolamazza
regia Gabriele Lavia
Non solo Pirandello per Gabriele Lavia, ma anche un omaggio alla poesia di Giacomo Leopardi in un recital fuori abbonamento Lavia dice Leopardi per tornare ad ascoltare le liriche più famose da A Silvia a Passero solitario, dal Canto notturno di un pastore errante dell’Asia a La sera del dì di festa.
Lavia dice Leopardi (data da definire)
di e con Gabriele Lavia
Produzione Teatro di Roma
Lavia «dice Leopardi»: dice, perché non legge né interpreta, ma riversa sul pubblico, in un modo assolutamente personale nella forma e nella sostanza, le più intense liriche leopardiane, da A Silvia a Passero solitario, dal Canto notturno di un pastore errante dell’Asia a La sera del dì di festa. Leopardi soggiornò a Pisa nove mesi fra il 1827 e il 1828, dove sembrò rinascere, e ritrovare un equilibrio che lo portò a stemperare di nuovo nella dolcezza dell’intuizione poetica il disincanto e l’amarezza delle Operette morali. L’attore e regista milanese vuole rendere omaggio al poeta, al suo soggiorno pisano, a quella sua nuova voglia di sondare la parola e il suono in un momento della sua esistenza che si tramutò in esaltante creatività artistica. “Le poesie di Leopardi sono talmente belle e profonde che basta pronunciarne il suono, non ci vuole altro. Da ragazzo volli impararle a memoria, per averle sempre con me. Da quel momento non ho mai smesso di dirle. Per me dire Leopardi a una platea significa vivere una straordinaria ed estenuante esperienza. Anche se per tutto il tempo dello spettacolo rimango praticamente immobile, ripercorrere quei versi e quel pensiero equivale per me a fare una maratona restando fermo sul posto».
6/11 novembre
Casanova Multimedia
Luca Barbareschi
Filippo Dini
IL DISCORSO DEL RE
di David Seidler
con Astrid Meloni, Chiara Claudi, Roberto Mantovani, Mauro Santopietro, Ruggero Cara, Giancarlo Previati
scene Massimiliano Nocente
costumi Andrea Viotti
regia Luca Barbareschi
Durante il montaggio del Discorso del Re lo sceneggiatore David Seidler già sperimentava la sua versione teatrale, che arriva oggi in Italia dopo il successo straordinario del film che nel 2011 ha collezionato tutti i maggiori riconoscimenti internazionali e quattro Oscar.
Luca Barbareschi affronta questo spettacolo come produttore, protagonista e regista realizzando un inno alla voce e all’importanza delle parole che si dispiega tra storia, biografia, dramma e commedia.
La vicenda è ambientata nel XX secolo quando i mezzi di comunicazione di massa assumevano un’importanza capitale per il vivere quotidiano del cittadino, quando poche parole del Re via radio potevano donare un briciolo di rassicurazione alla povera gente, specie durante i conflitti bellici. Tutta la vicenda è costituita da una incessante partitura dialettica che ricorda la necessità di adoperare le giuste parole da parte del potere, e forse proprio in questa epoca storica è una lezione che andrebbe ripetuta sovente, anche perché una storia acquista maggior valore se tramandata ai posteri attraverso un persuasivo impianto oratorio.
Protagonista è Albert, interpretato da Filippo Dini, secondogenito balbuziente del Re Giorgio V, il timido e complessato Duca di York, futuro sovrano con il nome di Giorgio VI.
Un uomo atipico, un re molto amato dal popolo, ma con un fardello di costrizioni infantili e un bisogno di affetto difficili da trovare nell’anaffettiva coppia di genitori regali. Un’insicurezza espressa attraverso una balbuzie invalidante e impossibile da gestire nei numerosi e imbarazzanti discorsi pubblici. In più, Giorgio VI si trova a essere la voce del popolo britannico in un momento difficile della storia, alla vigilia del secondo conflitto mondiale. La moglie lo affida alle cure del logopedista australiano Lionel Logue, ruolo che Barbareschi si è riservato per questa sua nuova prova d’attore. Il medico, o presunto tale, dai metodi anticonformisti, capace di sondare le anime e di medicarle, insegna al Duca di York come superare l’incubo di parlare in pubblico, con una cura a metà strada tra il laboratorio teatrale e la seduta psicanalitica che alla fine ridà ritmo, fiducia e potere alle sue parole e a tutti i suoi discorsi ufficiali.
Una commedia umana, sempre in perfetto equilibrio tra toni drammatici e leggerezze, ricca di ironia ma soffusa di malinconia, a tratti molto commovente, ma capace anche di far ridere.
13/18 novembre
Teatro Stabile di Calabria
Teatro Quirino Vittorio Gassman
Geppy Gleijeses
Lello Arena
Marianella Bargilli
MISERIA E NOBILTÀ
di Eduardo Scarpetta
con Gigi De Luca, Gianni Cannavacciuolo, Gina Perna, Gino De Luca, Luciano D’Amico, Antonio Ferrante
regia Geppy Gleijeses
Cavallo di battaglia di uno dei più grandi attori napoletani (e non), viene presentato in una edizione completamente nuova.
La commedia ha come protagonista Felice Sciosciammocca, celebre maschera di Eduardo Scarpetta, e la trama gira attorno all’amore del giovane nobile Eugenio per Gemma, figlia di Gaetano, un cuoco arricchito. Il ragazzo è però ostacolato dal padre, il marchese Favetti, che è contro il matrimonio del figlio per via del fatto che Gemma è la figlia di un cuoco. Eugenio si rivolge quindi allo scrivano Felice per trovare una soluzione. Felice e Pasquale, un altro spiantato, assieme alle rispettive famiglie, si introdurranno a casa del cuoco fingendosi i parenti nobili di Eugenio. La situazione si ingarbuglia poiché anche il vero Marchese Favetti è innamorato della ragazza, al punto da frequentarne la casa sotto le mentite spoglie di Don Bebè. Il figlio, una volta scoperto, minaccia di rivelare la verità, e lo costringerà a dare il suo consenso alle nozze.
“Eppure che bella cosa è fare il nobile… rispettato, ossequiato da tutti… cerimonie, complimenti. E’ un’altra cosa, è la vera vita! Il pezzente che campa a fare? Il mondo dovrebbe essere popolato di tutti nobili.. Tutti signori, tutti ricchi!”
20/25 novembre
Nuovo Teatro
Teatro Stabile dell’Umbria
Stefano Accorsi
FURIOSO ORLANDO
Ballata in ariostesche rime per un cavalier narrante
adattamento teatrale di Marco Baliani
liberamente ispirato all’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto
con Nina Savary
scene Bruno Buonincontri
costumi Alessandro Lai
disegno luci Luca Barbati
regia Marco Baliani
Attore, regista e drammaturgo, Marco Baliani ha preso i 38.700 versi dell’articolata vicenda dell’Orlando Furioso e li ha “ridotti e rimaneggiati”, concentrandosi sulle due storie d’amore principali: il paladino Orlando che insegue la bella Angelica e la guerriera cristiana Bradamante innamorata di Ruggiero, cavaliere saraceno destinato alla conversione. Narratore e contemporaneamente interprete di tutti i personaggi coinvolti, il bravo e talentuoso Stefano Accorsi, in scena dall’inizio alla fine con Nina Savary, cantante e musicista, figlia del regista francese Jérôme. L’attore bolognese percorre, con abilità da funambolo, un monologo che è anche melologo, racconto, digressione e duetto.
Stefano Accorsi diventa per il Furioso Orlando di Baliani “molti volti e cuori e multiformi voci e diversificati corpi” restituendo il gioco ariostesco attraverso cambi di registro interpretativo o vocale o ritmico per accordarsi ai cambi improvvisi di narrato, alle sospensioni. “Al contempo – sottolinea Marco Baliani – mentre è facitore di tante storie e volti, deve sempre sentir montare in sé la frenesia fantasmagorica di Orlando, come un vino che fermenta in non sicura botte. A contrastarlo nel dire e a contrastarlo nell’essere uomo spasimante in perpetua corsa c’è la presenza di Nina Savary, che lo interpella, gli pone questioni, ne commenta le parole, a volte musicando un tema, a volte cantando, o suonando le sonorità sparse che occupano la scena di Bruno Buonincontri con un artigianato sonoro da rumorista radiofonico di un tempo, macchinerie che fanno mare e vento e tempesta e fiato di dragoni volanti, dello stesso color ocra e ruggine dei tendaggi, trapuntati di cuciture di diverse stoffe, che avvolgono tutt’intorno la scena. A ricucire poi di una leggera malia il tutto ci sono le luci di Luca Barbati, che toccano i personaggi e le storie come farebbe una bacchetta magica spostandone le avventure, nei pochi metri reali dello spazio, in luoghi mitici, lontani, oppure ancora citando e facendo il verso a frammenti di cinema, di fumetti, di cultura pop.”
“Sono passati quattro anni dalla mia prima lettura dell’Orlando Furioso fatta al Louvre di Parigi – ricorda Stefano Accorsi alla vigilia della nuova tournée teatrale – Oggi questo lavoro incredibile è uno spettacolo che concentra in un’ora e venticinque minuti rocambolesche emozioni, ansie poetiche e colpi di scena. Mi piace recitare in teatro. In teatro c’è, di diverso dal cinema, l’adrenalina, il contatto con il pubblico con cui si viene a creare un vero e proprio dialogo che rende l’evento unico ogni sera.”
27 novembre/2 dicembre
Laros
Sebastiano Somma
Orso Maria Guerrini
IL GIORNO DELLA CIVETTA
di Leonardo Sciascia
adattamento Gaetano Aronica
con Gaetano Aronica, Morgana Forcella, Roberto Negri, Alessio Caruso, Maurizio Nicolosi, Giovanni Vettorazzo, Fabrizio Catalano, Luca Marianelli
scene Antonia Petrocelli e Gilda Cerullo
costumi Antonia Petrocelli
luci Alessandro Pezza
regia Fabrizio Catalano
Tratto dal celebre romanzo di Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta racconta del
l’omicidio di Salvatore Colasberna e dell’inchiesta condotta dal capitano Bellodi, brillante carabiniere venuto dal nord. Uomo onesto, diligente, colto, pronto ad affrontare qualsiasi difficoltà pur di scoprire la verità, una verità che spesso, in Sicilia è nel fondo del pozzo e chi la trova non vede più né il sole né la luna.
La Sicilia, terra in cui stato, politica e mafia sembrano essere la stessa cosa, è metafora dell’Italia, ma anche dell’ingiustizia universale. “Che cos’è normale? Che cos’è la verità? Che cos’è il potere?” Questioni che non trovano risposta: tutto è relativo, la verità non esiste, o meglio, è conosciuta da tutti, ma chi prova ad annunciarla è da considerarsi un folle.
Alla fine le vere parole di Sciascia, come sorrette dalle sagome nere degli attori, sentenziano: “Il più grande peccato della Sicilia è stato ed è sempre quello di non credere nelle idee. È questo che ha impedito alla Sicilia di andare avanti, il credere che il mondo non potrà mai essere diverso da come è stato. Ora, siccome questa sfiducia nelle idee, anzi questa mancanza di idee si proietta su tutto il mondo, in questo senso, per me, ne è la metafo