“Tradimenti”, la commedia di Harold Pinter è un bellissimo pezzo di teatro.
Il testo è costituito di nove parti: nove scene di vita quotidiana.
La scrittura è sottile e penetrante, i dialoghi rapidi e asciutti, le battute pungenti, la conversazione brillante, scorrevole, elegante. Tutto è giocato sul filo dell’umorismo, tipico british ben inserito nel congegno di una macchina drammaturgica perfetta.
La commedia non ha pretese moralistiche, Pinter non prende di mira la (solita) società borghese, si limita a narrare una storia di ordinaria quotidianità. Una lunga (sette anni) relazione extraconiugale, rivissuta a ritroso con la tecnica del flashback, fra Jerry regolarmente sposato con due figli e Emma, la moglie di Robert, il suo migliore amico. Il solito triangolo borghese vissuto apparentemente senza drammi nemmeno dal marito tradito. La relazione “triangolare” porta all’estremo la falsità del gioco delle parti dove il congegno della finzione svela un senso di complicità fra i due uomini. Non è infatti il marito tradito a rinfacciare all’amico la relazione con sua moglie, ma è l’amante ad accusare l’amico di avergli taciuto il fatto di esserne consapevole da anni. E’ quindi giusto parlare di gioco di finzioni consapevoli e di normale trasgressione. In realtà non si tratta di un semplice adulterio, ma del fatto che tutti e tre i personaggi tradiscono in qualche modo non solo l’altro, ma soprattutto sé stessi. Alla fine il rapporto muore di morte naturale, senza tragedie e senza catarsi.
Il regista Antonio Mingarelli ha impresso alla commedia un ritmo senza sbavature facendo sapientemente alternare, nell’interpretazione dei personaggi, pause ed accelerazioni che hanno moltiplicato il divertimento.
La scenografia è semplice e intelligente, due giganteschi schermi funzionali alla scena che cambia a seconda dello svolgersi dell’azione: ora una stanza, un pub, un salotto dalle cui finestre si vede scorrere la vita della città, oppure Venezia con i suoi canali.
Perfetta nelle intonazioni e nella gestualità Cinzia Spanò, convincenti le interpretazioni di Alberto Onofrietti e Fabrizio Martorelli.
Alla fine applausi calorosi e meritati.