“Moscheta“, scritta da Ruzante tra il 1527 e il 1531, prende il nome dal “parlarmoscheto”, espressione dialettale utilizzata per riferirsi alla lingua più raffinata (cittadina) che si contrappone al dialetto contadino padovano, in genere impiegato da Ruzante.La commedia è scritta in lingua pavana, lingua dura, aspra, oscura, nella quale “l’oscenità irrompe come un lampo allegro”.E’ la storia di tradimenti, di furbizia, di inganni. I personaggi sono ignoranti, ma autentici privi cioè di condizionamenti culturali e soggetti agli istinti e alle passioni elementari (mangiare e copulare) con la loro ricca virulenza plebea. La vicenda pregna di genuina comicità si svolge nel Cinquecento e ruota intorno alla figura di Betìa moglie di Ruzante donna bella e molto disponibile, contesa fra l’antico amante, il subdolo amico Menato, e Tonin, un soldato bergamasco sfrontato e vile. La conclusione è che i due “amici”, uno dopo l’altro si godono le grazie di Betia, e riempiono di botte e di corna il povero Ruzante.Nella semplicità linguistica, anche se non sempre comprensibile, la commedia trova una dinamica così convincente da rendere il testo piacevolissimo. E’ poi il linguaggio del corpo che aiuta a capire rendendo talvolta superflua la parola. La vicenda si snoda con un ritmo e uno stile che anticipa la commedia dell’arte e gli Zanni.In Ruzante non c’è una consapevolezza critica. Per vedere rappresentata una denuncia ad una società anche allora ingiusta e ipocrita, si dovrà aspettare Goldoni. Le scene e i costumi curate da Guido Fiorato sono adeguate alla condizione di questi rozzi poveri contadini (due baracche sgangherate, un lavatoio in uno squallido suburbio di Padova). Bravi gli attori Maurizio Lastrico, Barbara Moselli, Enzo Paci, in particolare TullioSolenghi che si è calato bene nel personaggio anche se talvolta ne accentua l’aspetto macchiettistico.Le musiche molto funzionali sono di Andrea Nicolini e il servizio luci di Sandro Sussi.Ottima la regia di Marco Sciaccaluga, storico regista del Teatro Stabile di Genova.