Gli spettatori sono già tutti seduti, ma bisbigliano rumorosamente con i loro vicini di posto aspettando che lo spettacolo inizi. Tra risa, schiamazzi e sistemazioni varie nemmeno ci si accorge che Jurij Ferrini, regista e attore di “Rodaggio matrimoniale”, la pièce andata in scena dal 14 al 17 novembre all’Arena del Sole di Bologna, ha preso possesso del palco e con un copione in mano si avvia a introdurci lo spettacolo, nel quale il frequente gioco di rimbalzo tra la narrazione e le implicazioni della messa in scena – con innesti metateatrali all’interno della storia – porta lo spettatore alla doppia comprensione sia della storia sia degli sviluppi teatrali sottesi.
Il testo della performance viene fuori da una delle più brillanti penne americane del secolo scorso: Tennessee Williams. “Rodaggio matrimoniale” però – al contrario di titoli come “Un tram che si chiama desiderio” o “Improvvisamente l’estate scorsa” che hanno decretato il successo dello scrittore portandolo sul grande schermo con film indimenticabili – è una commedia inedita in Italia, mai rappresentata finora, seppur magistralmente tradotta da Masolino d’Amico.
Siamo nel giorno Natale del1958, inuna cittadina del Mid-South degli States, quando Ralph Bates, appena abbandonato dalla moglie, riceve la visita del suo vecchio amico, George Haverstick, assieme alla sua neo-consorte, sposata pochi giorni prima. In questa modesta casa costruita su una caverna – che sprofonda 4-5 centimetril’anno – le vite matrimoniali di queste coppie si animano con tutte le difficoltà e i disagi del caso.
Tennessee Williams rende questo testo vivace attraverso la netta caratterizzazione dei personaggi e le psicosi che ognuno, per motivi diversi, mette in scena rivelando le intime fragilità e le loro manifestazioni, per esempio attraverso un tremolio costante della mano sia annegando pensieri tetri e ricordi dolorosi nei fumi dell’alcool
È così quando la giovane sposa si ritrova sola in casa di Geroge e convinta di essere stata abbandonata, nella disperazione afferma: “credo di aver sposato un estraneo” e la risposta delusa del suo interlocutore, in uno dei dialoghi chiave, è : “questo lo fanno un po’ tutti”. Attraverso un gioco di dialoghi veloce si passano in rassegna le diverse motivazioni che inducono al matrimonio, visto come “transazione finanziaria” o come un desiderio di mutua assistenza per sconfiggere la solitudine e, forse, qualche volta, come conseguenza di un grande amore. Ma qualsiasi sia il motivo di questo importante passo una cosa è certa: tutti necessitano di un piccolo rodaggio, di una fase di transizione a volte poco piacevole, per poter “accettare” questo nuovo stato di cose.
La scena costruita da Ferrini è vuota ed essenziale. A renderla dinamica ci penseranno i protagonisti spostando continuamente le porte, ognuna delle quali rappresenta un ambiente della casa – cucina, ingresso, camera e bagno – a seconda dell’esigenza scenica del momento.
Ottima la performance degli attori che hanno reso questi personaggi credibili e vivaci, riuscendo a enfatizzare la vena comica senza tralasciare l’aspetto amaro della vicenda, a partire Isabella Macchi nei panni della finta ingenua Isabel Crane; molto godibile anche Ralph, personaggio interpretato dallo stesso Jurij Ferrini, un uomo disilluso e un po’ cinico nei confronti della vita e dei rapporti sentimentali. Ma anche Carlo Orlando nei panni dello psicolabile George Haverstick ed Eva Cambiale, la realistica Dorothy, moglie di Ralph, sanno essere convincenti. Tutti insieme regalano uno spettacolo divertente, un po’ beffardo e disincantato sull’amore eterno, nonostante il lieto fine.